W.E. - Edward e Wallis, la recensione

[Venezia 2011] Madonna firma un dramma sentimentale su uno degli amori più scandalosi del ventesimo secolo sprecando alcune buone intuizioni...

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Ricordate Guy Pearce nel Discorso del Re? In quel film interpretava Edoardo VIII, il re che abdicò per l’amore di una donna sposata già due volte e per la quale decise di dare al fratello balbettante le chiavi dell’allora impero britannico.

Se nel film vincitore proprio quest’anno degli Oscar più prestigiosi, film e regia, il suo era un ruolo marginale, in W.E. è proprio di lui che si parla, della sua relazione con l’americana Wallis Simpson e di come la loro storia da “l’amore vince sopra ogni cosa” possa ancora oggi rappresentare un modello a cui ispirare le proprie scelte di vita per donne di oggi, come accade al personaggio interpretato da Abbie Cornish, giovane e infelice moglie di uno strizzacervelli che la tradisce e non vuole avere figli nonostante prima dicesse il contrario.

Madonna sceglie un soggetto piuttosto originale per questa sua seconda prova da regia. Capiamo che per una superstar come lei sia piuttosto difficile smarcarsi dal naturale pregiudizio negativo che accompagna chi ha deciso di diventare cineasta a 50 anni dopo una vita da icona di musica e di stile, che per una come lei bisogna essere ancora più che bravi del necessario per risultare credibili, ma ciò non toglie che il film sia piuttosto deludente. Lo è ancora di più perchè la prima parte dei 110 minuti di pellicola non sono niente male: un dramma con un montaggio ellittico che alterna la ricostruzione dell’amore che “sconvolse l’Inghilterra” con la storia per “fiction”, quella di un matrimonio ormai agli sgoccioli e segnato dall’ossessione di lei per ogni cimelio appartenuto alla coppia di suoi beniamini.

La regista muove infatti con eleganza la macchina da presa, pennellate sinuose che ricordano spot televisivi di prodotti di lusso, a prima vista affascinanti, ma sostanzialmente privi di contenuto se si pensa che le immagini dovrebbero servire per aggiungere qualcosa e non semplicemente accompagnare o sottolineare fino alla nausea quanto già sceneggiatura, suono e espressioni degli attori hanno espresso.

La difficoltà nell’asciugare un dramma piuttosto complicato nella costruzione (i punti di contatto tra le due storie emergono solo alla fine, così come la "morale della favola”, i sogni non esistono, ognuno deve prendersi la responsabilità e il rischio delle proprie scelte) si manifesta in particolare nell’ultima mezz’ora di racconto, quando almeno in una decina di momenti si ha la percezione che il film possa chiudersi lì e invece continua… continua… continua… continua.

Come lo stilista John Ford con il suo A Single Man, Madonna cade nella trappola del polpettone, abbellisce ogni dettaglio (anche la casa di un rifugiato russo a New York che lavora come addetto alla sicurezza di Sotheby’s è un loft molto trendy con pianoforte a coda!), veste di nero i suoi personaggi (tutti, anche le comparse che si vedono di riflesso su una pozzanghera) quando vuole esprimere tristezza e si dimentica di accedere una luce o alzare la serranda quando in scena appare il marito cattivo ed egoista della giovane protagonista, e così via. Semplificazioni che si possono perdonare ad un personaggio del mondo dello spettacolo che, al di là di tutto, almeno ci prova. Che sia coraggio o semplice presunzione, è impossibile dirlo...

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