We Can Be Heroes, la recensione

L'ennesimo capitolo nella sconfortante carriera di cinema per bambini di Rodriguez, We Can Be Heroes, replica i modelli meno sofisticati e li peggiora

Critico e giornalista cinematografico


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We Can Be Heroes, la recensione

Poliponi.
I cattivi di We Can Be Heroes sono poliponi alieni viola che arrivano in astronavi a forma di poliponi alieni viola, un classico della fantascienza vecchio stampo (ma in fondo erano un po’ poliponi anche gli alieni di Independence Day). In poco i cattivi venuti dallo spazio con tecnologie aliene, come in un cartone animato seriale giapponese con protagonisti mega robot, imprigionano tutti i supereroi della Terra. Rimangono solo i loro figli (tutti della stessa fascia d’età preadolescenziale) che la società che gestisce i supereroi nasconde in un bunker. Anche i figli però hanno superpoteri e in breve formeranno una squadra per andare a salvare i propri genitori.

Più che un sequel di Le avventure di Sharkboy e Lavagirl in 3D (del 2005) questo cinecomic per bambini è un altro film ambientato nel medesimo universo narrativo. I protagonisti che danno il titolo a quel film sono qui adulti ed estremamente marginali, i figli sono i protagonisti. Ma quel che conta in We Can Be Heroes è quel mondo fotografato con una sofisticazione solo minimamente più curata della media della serialità televisiva da Disney Channel, che sembra proprio essere il modello espressivo. Lo stesso vale anche per effetti visivi e per il look più in generale (il complesso di scenografia, costumi, trucco e character design). Robert Rodriguez sa fare di molto meglio, specie quando lavora con la sua casa di produzione. Qui sceglie di avere un altro approccio, sceglie una chiarezza fastidiosa e sceglie di ribassare tutta la scrittura. E appoggiarsi di continuo alle spiegazioni date dai protagonisti.

Nell’idea di cinema per l’infanzia di We Can Be Heroes non c’è un livello di sofisticazione in più per gli adulti (che poi è anche la porta d’ingresso ad altri ragionamenti per i bambini stessi), non c’è quel dolce furto di pratiche di racconto per adulti rimaneggiate per un altro pubblico e non c’è nemmeno il tentativo di lavorare con mezzi e idee complesse per contenuti semplici. Non c’è nemmeno della buona recitazione a dare carattere ai personaggi. Come già visto in Spy Kids per Rodriguez ai bambini si parla come bambini, ai bambini il cinema non dà nulla che non sia stato già masticato e ribassato fino a che non sia alla loro altezza.

La risoluzione totalmente conciliatoria infine annulla qualsiasi asperità (una sottotrama minimamente interessante vedeva tutte le istituzioni americane come corrotte e infiltrate dagli alieni) e riconduce tutto nel reame dorato della tranquillità. Vuole essere talmente innocuo We Can Be Heroes da non essere niente, annullandosi fino all’oblio che arriva a poco dai titoli di coda. Il suo unico intento è affermare che non c’è da preoccuparsi, bambini, va tutto bene.

Una denuncia a parte andrebbe poi fatta partire per la cover del brano di David Bowie che viene usata.

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