Wash Me in the River, la recensione

Wash Me in the River è un mucchio di qualunquismi messi in bocca a personaggi abbozzati, dove solo la qualità di una buonissima fotografia salva le apparenze

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La recensione di Wash Me in the River, disponibile su Prime Video dal 28 dicembre

Diretto da Randall Emmett, produttore di svariati film action di serie b (ma anche di un paio di Scorsese: Silence e The Irishman), Wash Me in the River è proprio quel tipo di film che punta a prendere lo spettatore per la pancia. Nel suo misto tra romance e violenza - una storia di spaccio di droga e musi duri di uomini arrabbiati - il film pur non avendo alte pretese si incarta nel suo compito più basilare: fare del sano intrattenimento.

Il film dedica infatti un’intera metà del suo tempo a raccontarci la storia d’amore tra due tossicodipendenti di un’anonima provincia americana, Shelby John (Jack Huston) e Ruby (Willa Fitzgerald). Il setting è quello dell’America “dimenticata da Dio”, dove la droga e la violenza sono il pane quotidiano e la legge è incarnata da uno sceriffo impotente di fronte al male (un Robert De Niro che ricorda più o meno il personaggio di Tommy Lee Jones in Non è un paese per vecchi). Di queste dinamiche e luoghi - tanto cari al cinema americano medio contemporaneo -  Wash Me in the River si ricorda però solo a metà film, quando finalmente l’evento che scatena l’azione (un omicidio) fa aumentare i giri e partire la trama.

Wash Me in the River è sostanzialmente una storia di vendetta ma il modo in cui maldestramente inanella gli eventi uno dopo l’altro (con dei tempismi tutti sbagliati: o le cose succedono dopo troppo tempo o tutte insieme) crea una fastidiosa frizione non solo nel piacere dell’economia narrativa (estenuante in senso negativo) ma anche tra ciò che il film pensa di essere e quello che è in realtà. A vedere la prima parte sembra infatti che Randall Emmett voglia giocare a fare un po’ l’autore di un film romantico: per il modo in cui riprende i due amanti, il modo che ha di evocarne - con toni goffamente melodrammatici - le parole e i dolci ricordi più avanti nella storia… Poi però si ricorda improvvisamente che il target del suo film è un po’ meno sensibile, o meglio si aspetta dell’altro, e allora via con le sparatorie, le torture, i denti digrignati e una morale spicciola (ma pur tipica dell’action statunitense) che richiama Dio e la provvidenza in un regno di violenza.

In un certo senso Wash Me in the River sembra proprio puntare ai toni di Non è un paese per vecchi, ma il risultato non potrebbe essere più lontano. Quello che rimane è un mucchio di qualunquismi messi in bocca a personaggi abbozzati (è difficile far recitare male anche John Malkovich, eppure…), dove solo la qualità di una buonissima fotografia riesce a coprire tutto il disastro che vi si annida sotto.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Wash Me in the River? Scrivetelo nei commenti!

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