Warrior (prima stagione): la recensione
Figlio di Banshee e di un soggetto di Bruce Lee, Warrior è un ottimo esempio di action drama: sintesi di scrittura per una serie in cui i personaggi trovano un senso attraverso lo scontro fisico
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È il 1878, e ci troviamo in una San Francisco ai margini del mondo. Se è vero che gli estremi si toccano, qui la costa dell'America si specchia nell'estremo oriente, accogliendo ogni giorno nuovi immigrati cinesi che si vanno a sommare alle migliaia già presenti. Accoglie per modo di dire, dato che il clima di esasperazione e diffidenza è immediatamente tangibile. I cinesi si inseriscono nel tessuto sociale scavando proprie nicchie di potere, i tong, spesso in contrasto tra di loro. In questo clima di tregua apparente arriva un giovane, di nome Ah Sahm, che ha un obiettivo personale ben preciso, ma che con le sue abilità di combattimento attira le attenzioni di molti.
Creata anche da Justin Lin, nome fortissimo dietro la saga di Fast & Furious, Warrior centra con precisione invidiabile il proprio obiettivo. Padrona del proprio stile, rielabora il soggetto dello straniero in terra straniera, fortissimo e diverso da tutti gli altri, anche dalla propria gente. Andrew Koji interpreta con il giusto distacco e qualche lieve punta di umorismo il suo Ah Sahm, e ogni sguardo ci ricorda perché è proprio lui l'elemento più interessante della vicenda. Nato in Cina, quindi più cinese dei suoi compagni che non sono mai stati in quel paese, ma capace di parlare inglese, quindi ancor meno chiuso in una nicchia linguistica.