War - La guerra desiderata, la recensione

Il nuovo tentativo di matrimonio tra il fantastico come ci arriva dall'estero e il cinema italiano che conosciamo bene tocca a Gianni Zanasi

Critico e giornalista cinematografico


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War

La recensione di War - La guerra desiderata, in sala dal 10 novembre

Anche nei film di Gianni Zanasi è entrata la fine del mondo come lo conosciamo. In War - La guerra desiderata non è difficile capire in che forma già dal solo titolo. Un prologo tra ragazzi in campeggio funge da introduzione alla ragione molto futile per la quale l’Italia entra in guerra con la Spagna e poi con la Francia che la appoggia. Ma più che concentrarsi sulla parte politica, War si concentra su tre persone e le loro vite intrecciate in un paese che prima sta scivolando verso la vera guerra (e quindi diventando a trazione militare con legge marziale) e poi è effettivamente in guerra. C’è un allevatore di vongole che sta fuori dal mondo e si rende conto degli eventi quando viene menato per strada, c’è un barista guerrafondaio ufficiale di una milizia paramilitare che assolda l’allevatore di vongole malmenato e spaventato e infine c’è la figlia dell’ex generale vice ministro della difesa che è l’ago della bilancia, una donna cresciuta tra i militari che ripudia la guerra ma forse può fare qualcosa di effettivo per fermarla.

Va detto subito: War non è un film di guerra ma un film sulla guerra e cosa fa agli esseri umani, non è una storia con una grande coerenza logica (i buchi di sceneggiatura sono coltivati come un hobby) né ha intenzione di far fare chissà che arco narrativo ai suoi personaggi (si ricorda di chiudere le loro storie all’ultimo proprio). L’unica cosa a cui tiene è lo sfondo, questo paese allo sbando, preda di violenti. Potrebbe facilmente essere una maniera indiretta di parlare della pandemia (come avviene in Siccità) ma onestamente non sembra di riscontrare alcuna possibilità di parallelo.

Perché War racconta l’origine della follia nelle persone, accesa da scenari violenti e possibilità di violenza, come le vittime della società (l’allevatore di vongole di Edoardo Leo) si ritrovino carnefici loro malgrado e cosa ci sia dentro di noi che viene acceso da un simile scenario. Cosa ci sia di autoritario e intollerante, ovviamente, ma anche cosa di vitale (la scena migliore è una festa nel momento meno opportuno, su un pullman turistico scoperto). In questo senso nonostante i protagonisti siano Edoardo Leo e Miriam Leone l’impressione è sempre che a Zanasi importi solo di Battiston.

War ha però tutti i difetti che i film di Zanasi coltivano di solito come pregi. È pieno di stimoli e idee non sempre chiuse, (un’ossessione per l’insoddisfazione dei personaggi, il desiderio di essere utili e la distanza dei rapporti, tutti spunti di cui regolarmente si dimentica) e si compiace così tanto di questo scenario da dimenticarsi troppo a lungo di far partire una trama. Questo è un film-fiume con momenti apprezzabili e una strana cura, in cui alla fine si finisce in uno scenario completamente diverso rispetto all’inizio (che sarebbe anche una gran bella immagine l’ultima), un viaggio verso l’inferno che tuttavia non ha le spalle larghe per reggere queste ambizioni e fa una fatica bestiale anche solo ad avanzare, come camminasse nel fango. 

Tuttavia War, proprio per essere un film di genere dalla sinossi impeccabile (il momento nella spa è perfetto a tantissimi livelli diversi) ma poi nei fatti diluito, dilatato, modificato e concentrato sullo sfondo, è anche un perfetto nuovo capitolo di un’altra grande storia di cui tutti siamo partecipi: quella della penetrazione del fantastico nel cinema italiano nella forma del genere. È la storia della ricerca collettiva da parte del nostro cinema di un matrimonio nuovo, di ibridi che abbiano un senso tra il fantastico di maggior successo che conosciamo dall’estero e il punto di evoluzione cui è arrivato per versi proprio il nostro cinema.

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