Wallace & Gromit – La maledizione del coniglio mannaro

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Se non ci fossero, bisognerebbe inventarli. Un po’ come la Pixar, le creazioni della Aardman ci ricordano che, al di là del mezzo utilizzato (3D o plastilina a passo uno), l’animazione deve comunque sempre essere fatta di storie e di personaggi coinvolgenti. Ed è un bene che la Dreamworks, assieme a prodotti abbastanza grossolani e che lasciano troppo spazio alle improvvisazioni delle star (ovviamente, si parla di Shark Tale e Madagascar), si dedichi anche alla collaborazione con la casa inglese (e se è vero che i risultati negli Stati Uniti de La maledizione del coniglio mannaro sono stati inferiori alle attese, quelli negli altri Paesi sono stati ottimi).

Fin dai primi minuti, con un’introduzione fatta di foto geniali, si capisce subito come il passaggio al lungometraggio non abbia minimamente intaccato la carica innovativa e, allo stesso tempo, classicissima della più divertente coppia cane-padrone della storia del cinema. E’ proprio questa capacità di fondere mirabilmente passato e presente a rappresentare il marchio di fabbrica della prestigiosa ditta Aardman. Chi altri saprebbe unire i classici horror degli anni trenta, quaranta e cinquanta (King Kong, Frankenstein, L’uomo lupo, L’esperimento del dottor K), con pellicole più moderne come Un lupo mannaro americano a Londra? E chi riuscirebbe a frullare tutto quanto in una divertente commedia, che riesce ad ironizzare sui cliché di questo genere, ma senza scadere nella banalità e perdere il proprio tocco personale?

Difficile fare un elenco delle innumerevoli idee geniali che nascono dalla mente dei creatori di questo film senza rovinare la sorpresa allo spettatore. Basterebbe pensare al sistema adottato da Wallace & Gromit per catturare i conigli. O, in generale, a tutti i fantastici marchingegni della coppia. Ma ci sono decine e decine di piccoli, curatissimi particolari (la rivista letta dal parroco, per esempio) che, oltre ad essere meravigliosi, rendono praticamente obbligatoria (si fa per dire, è un piacere immenso), una seconda visione.
Tutto questo utilizzando una trama piuttosto semplice, ma efficacissima, in cui funzionano anche i (pochi) giochi metacinematografici (che di solito, in altri cartoon, danno vita a fastidiose strizzatine d’occhio allo spettatore). Non sarebbe stato male, peraltro, che alla candidatura agli Oscar come miglior cartone (che dovrebbe sfociare in una vittoria), se ne fossero aggiunte altre per la sceneggiatura, la colonna sonora (che probabilmente però non era eleggibile, considerando che il famoso tema dei loro film si ripete anche qui) e, perché no, per le scenografie.

In questo contesto, per fortuna anche il doppiaggio italiano è assolutamente di livello e non la solita parata di comici televisivi incapaci. Se proprio vogliamo trovare un difetto a questa pellicola, possiamo dire che le cose alla fine si risolvono in maniera un po’ troppo semplice. Ma sono inezie, di fronte ad un’opera così sfolgorante e divertente. E con dei coniglietti così adorabili, impossibile non rimanere conquistati…

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