The Walking Dead 4x16 "A" (season finale): la recensione

Season finale di The Walking Dead: ecco come ci salutano i sopravvissuti

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Spoiler Alert
Nel bene o nel male, The Walking Dead rappresenta una realtà fondamentale nella moderna serialità, una serie emblematica sotto vari, troppi punti di vista per poter essere ignorata. È il simbolo di come sempre più il mezzo televisivo sia diventato il creatore delle moderne mitologie e dei cult più diffusi, un ruolo che il cinema non riesce più ad adempiere come un tempo, ma anche di come negli ultimi anni si sia affermato un approccio multimediale (prima di essere un fenomeno culturale The Walking Dead è ovviamente un fumetto, ma anche un videogioco ed una webseries) della stessa matrice a cui appartengono i vari Game of Thrones o Agents of S.H.I.E.L.D. E naturalmente, essendo il più grande successo di ascolti della storia dei cable network, è anche l'esempio più lampante di come i prodotti più discussi siano sui canali via cavo.

Ora, senza troppi giri di parole, che la qualità complessiva della serie non abbia mai rispecchiato pienamente la premessa fin qui fatta, non dovrebbe essere un segreto. E, al di là di quello che si può pensare di questo season finale intitolato semplicemente A, il giudizio generale non ne verrà intaccato. L'episodio, scritto dallo stesso showrunner Scott Gimple, ultimo paio di una serie di mani che hanno modificato nettamente negli anni l'impronta della serie, si colloca nella scia positiva degli ultimi due, ma condivide la stessa problematica che affliggeva l'ultimo midseason finale. Giudicato in sé, l'episodio convince, porta avanti la trama, intrattiene, è superiore alla media della serie, ma nel momento in cui viene inquadrato come season finale rivela tutte le proprie mancanze.

Riallacciandosi nella struttura di base a quasi tutti gli episodi di questa seconda metà di stagione, anche A rinuncia ad una visione corale della storia per concentrarsi su un unico blocco di personaggi che progressivamente va ad inglobare altri protagonisti fino a diventare sempre più grande. Salutiamo quindi fin da ora Carol, Tyreese e Judith, perché non li rivedremo fino alla quinta stagione. La passerella finale è tutta per Rick, Michonne e Carl, sulla strada per percorrere quei pochi passi che li separano dall'agognato, ma sconosciuto Terminus. Si chiude quindi idealmente il cerchio che vede queste otto ultime puntate come un periodo di transizione da un luogo ad un altro, da un'illusione di sicurezza ad un'altra. Tutto era iniziato in After con i tre personaggi, e con loro tutto si concluderà necessariamente, ed in fondo è giusto così. Apocalisse umana condivisa, incubo corale, ma The Walking Dead è sempre stato la storia di Rick, la storia di un padre che prende coscienza di non poter salvare suo figlio, di dover abdicare prima del tempo a quel ruolo di eroe che ogni genitore rappresenta per la propria discendenza.

I primi tre quarti di episodio trascorrono on the road, ultima parentesi prima di giungere all'obiettivo. C'è una sequenza più che emblematica su una trappola per animali (si costruisce un percorso quasi obbligato e le creature finiscono per mettersi in trappola da sole), c'è una scena violenta e ben diretta che segna il massacro del gruppo di bifolchi al quale si era unito Daryl e con il quale Rick si era già misurato. Apprezziamo la furia, il sangue, anche la cura con la quale viene sottolineato il rumore di uno sparo nelle orecchie. Certo, tutta la parentesi della scorsa settimana su Daryl e i vari discorsi sul "claimed" ne escono parecchio ridimensionati, per non dire inutili, ma è comunque un bel momento. D'altra parte le carenze non mancano, e vanno tutte ricondotte al solito allungamento di brodo al quale abbiamo assistito nelle ultime settimane.

Accanto a vari momenti riusciti troviamo infatti i soliti dialoghi molto espositivi e poco brillanti e le solite caratterizzazioni di grana grossa (peccato, perché di base il racconto di Michonne sull'origine dei famosi zombie che si portava in giro non sarebbe affatto male), stavolta con contorno di flashback immotivati. Potremmo metterci a cercare qualche parallelismo tra la condizione della prigione e quella attuale, qualche contrasto tra il prima e il dopo, forse l'ennesima presa di coscienza che il lieto fine non è di casa qui, ma tutto passa in secondo piano di fronte all'effetto di questi flashback noiosi, reiterati e inutili quasi in modo straniante. In qualche modo comunque arriviamo a Terminus, e con noi c'è anche Daryl.

E qui, ennesimo atto di un copione interpretato più volte modificando solo poche varianti, avviene il salto verso la nuova location che dominerà la nuova stagione. Altro giro, stessa corsa. E invece no. Con somma gioia, il velo cade fin da subito, Rick mangia la foglia e succede il finimondo. Più o meno. Anche qui, la serie continua a dare e a togliere, a fare un passo in avanti e due indietro. Nemmeno il tempo di gioire per la scoperta che qualcosa non va a Terminus – non ci viene detto ancora cosa, ma pazienza, è comprensibile – che ci accorgiamo che la puntata (che la stagione) sta per terminare. Un ultimo sussulto, un colpo di coda, la lenta camminata di un personaggio che sembra prepararci ad un colpo di fulmine sulla serie... e invece niente. Non basta la lunga pausa ad effetto, con tanto di flashback finale, per introdurre una frase che dovrebbe farci stare sulle spine fino al prossimo anno.

L'assenza del presente, la stasi, il costante appoggiarsi alla speranza del futuro, è la componente inevitabile di un mondo ormai sull'orlo dell'estinzione, ma non può e non deve essere il pilastro di una serie che lo racconta. E invece intrecci banali e schematici, lunghe parentesi che non raccontano degnamente i protagonisti, dialoghi e interpretazioni raramente all'altezza. Fosse un guilty pleasure come tanti potrebbe andar bene, ma è davvero un peccato considerando le sue enormi potenzialità e gli ascolti incredibili ottenuti finora. Pare di ripetere sempre le stesse cose, e probabilmente è così, ma sembra impensabile non poter desiderare di più dalla serie via cavo più vista della storia.

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