Waiting for the Barbarians, la recensione | Venezia 76
Waiting for the Barbarians di Ciro Guerra trova i propri punti di forza nella performance di Mark Rylance e nella splendida fotografia
WAITING FOR THE BARBARIANS, DI CIRO GUERRA - RECENSIONE DA VENEZIA
Non vedo traccia di nemici, a meno che i nemici non siamo noi stessi. La frase pronunciata dal Magistrato (Mark Rylance), innominato protagonista di Waiting for the Barbarians di Ciro Guerra, passa dall'essere ironica presa in giro delle assurde preoccupazioni degli ufficiali dell'Impero a presagio di consapevolezza dell'irrimediabile tendenza alla prevaricazione dell'essere umano, fosse anche il più benintenzionato.
Presentato al Festival di Venezia e in lizza per il Leone d'Oro, il film di Guerra adatta con notevole dispiego di mezzi il romanzo omonimo del sudafricano J. M. Coetzee, e per atmosfere e ambienti potrà certo richiamare alla mente degli spettatori italiani l'immenso Il Deserto dei Tartari di Buzzati, trasposto da Valerio Zurlini in pellicola nel 1976. Le somiglianze non vanno molto oltre, poiché Waiting for the Barbarians è tutto volto a indagare altre tematiche, altri mondi, altre tinte.Tinte forti, lo capiamo sin da quando il Colonnello Joll (Johnny Depp, glaciale dietro occhialini da sole che ricordano il Dracula coppoliano) irrompe nella fortezza di frontiera pacificamente gestita dal Magistrato per seminare sospetto tra le fila della guarnigione e versare il sangue di innocenti mongoli in cerca di cure per una piaga infetta. La paura del diverso si mescola alla necessità di trovare un nemico contro cui levare le armi, a difesa di quelli che intuiamo essere gli ultimi sprazzi di vita di un Impero agonizzante.
All'ovvia inversione di ruoli di potenziali vittime e reali carnefici tra i soldati imperiali e i barbari del titolo corrisponde la maturazione del Magistrato, inconsapevole aguzzino di una giovane indigena (Gana Bayarsaikhan) passata per le mani torturatrici di Joll. Melancolicamente affascinato dalla ragazza, il protagonista arriva a riservarle una quantità di attenzioni indesiderate che ne amplificano la sofferenza, a dimostrazione del potere soffocante dell'amore. Seppur detentori di due indoli opposte, Joll e il Magistrato finiscono per danneggiare comunque il prossimo, assurgendo al ruolo di nemici, di barbari.Quasi inutile specificare come il Magistrato abbia un oceano di attenuanti dalla sua, e Mark Rylance si conferma interprete gigantesco in questa performance giocata su corde sottili; è lui l'inesauribile fonte di luce del film, altrimenti destinato qua e là a cedere sotto il peso di una sceneggiatura costruita su parallelismi fin troppo ovvi. Ma Waiting for the Barbarians non vuole essere un'opera innovativa; mira piuttosto a cullare lo spettatore alternando immagini diurne di abbagliante nitore a notturni caravaggeschi, mirabilmente irrorati di luce naturale, raccontando una storia che trova la propria ragion d'essere non nell'originalità, ma nell'universalità sempiterna delle sue riflessioni. E, da questo punto di vista, il bersaglio risulta decisamente centrato.