Volt - Che vita da Mecha 2: Il nemico alla porta, la recensione

Abbiamo recensito per voi il secondo numero di Volt - Che vita di Mecha, opera di Stefano Conte edita da saldaPress

Fumettallaro dalla nascita, ha perso i capelli ma non la voglia di leggere storie che lo emozionino.


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La vita di Volt è cambiata da quando, con l’inganno, è diventato il commesso della fumetteria Comic Sans. A ordire il machiavellico piano è stata lei, Dark Mother, la madre del nostro sventurato, capace di usare le arti oscure dell’amore materno, coadiuvata dal titolare della fumetteria, il Boss, nemico giurato dei manga. Dopo un’iniziale ritrosia nei confronti del suo primo lavoro, il giovane Volt scopre sulla propria pelle che opporsi ai voleri della madre è del tutto inutile e, a malincuore, intraprende questa nuova fase della sua vita.

I tipici personaggi che popolano i negozi di fumetti si palesano uno dopo l’altro scandendo la giornata di lavoro del nostro e determinandone il conseguente esaurimento nervoso. Un aiuto, tanto inatteso quanto utile, offre a Volt la possibilità di affrontare ad armi pari il cliente Mangiaparole, o lo Spendipoco, sperando che nessun Straziaragione varchi la soglia. Come sa bene chi legge fumetti americani, la grandezza di ogni supereroe è definita dalla propria nemesi, e in questo secondo numero – intitolato Il nemico alla porta – facciamo la conoscenza di questo “villain” sui generis.

Mettetevi comodi, sedetevi accanto ad And, Or e Not, i nipoti di Nonno Volt, per scoprire un universo popolato da robot e animali antropomorfi, frutto della brillante ironia di The Sparker, al secolo Stefano Conte. La voce narrante è sempre quella del vecchio robot commesso, intento a iniziare le menti dei suoi dodicenni discendenti al fascino di un’esistenza vissuta in equilibrio tra il dramma dei pendolari, richieste folli e ragionamenti assurdi.

In questo secondo volume, Conte accantona il racconto metafumettistico preferendo concentrare la sua attenzione sullo sviluppo di un universo organico popolato da personaggi parodici costruiti su tòpoi comportamentali tipici della fauna che anima le fiere del fumetto. La frustrazione di Volt mentre vede allontanarsi il suo sogno è accentuata dalle orchestrazioni della madre, novella Darth Vader in grembiulino, e dagli insegnamenti del suo Boss.

Rispetto al volume precedente non registriamo sostanziali cambiamenti, restando inalterate sia le influenze dell’autore, sia il gusto per le esilaranti gag che vedono coinvolto l’aspirante scrittore di fumetti e gli avventori del Comic Sans, sia la gestione della tavola e i tempi comici; così come restano invariati l’immaginario da cui attinge il buon Conte - un sottobosco fatto di supereroi, manga, cinema e cultura popolare - e lo stile grafico cartoonesco, debitore della scuola nipponica.

Il volume è impreziosito nel finale da strisce con cui esplorare le illimitate capacità di Dark Mother e le surreali scene riprese dalle esperienze di vita reale dei lettori e dei gestori delle fumetterie. In questa forma breve, l’estro comico di Conte è più funzionale, mentre sulla lunga distanza si perde in alcune sequenze poco fulminanti. Se avete apprezzato il primo volume continuerete ad amare Volt – Che Vita da Mecha. Se dopo averlo provato avete deciso di tenervi alla larga, continuate a farlo.

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