Volevo Nascondermi, la recensione | Berlinale 2020
Pensato intorno alla sua interpretazione e poco capace di farne qualcosa, Volevo Nascondermi è al tempo stesso molto preciso e poco incisivo
VOLEVO NASCONDERMI, CON ELIO GERMANO: LA RECENSIONE
È ovvio fin dalla cartellonistica, fin dalle prime immagini, fin dai trailer che non sarà effettivamente la parte di Antonio Ligabue quella sulla quale Volevo Nascondermi si giocherà la propria credibilità e la propria sostanza. Troppo buono è stato il lavoro fatto da Elio Germano e con Elio Germano, troppo curato è il personaggio e troppo calibrato è il ritratto di un uomo repellente in un film che racconta proprio quella repellenza. Il problema è semmai tutto il resto.
Non sarà mai raccontato e quindi non sarà mai evidente quanti dei soldi prodotti dalla sua arte andranno davvero a lui, quanto opaco o chiaro sia stato il sistema attraverso il quale veniva mantenuto, e questo perché il film è interessato ad altro. Passiamo attraverso la vita da pittore di Ligabue senza capire molto, come lui stesso, ma abbiamo ben chiaro il modo in cui lui la viva il suo nuovo status come una rivincita e una possibilità di affermarsi nonostante il carattere, le tare, i problemi e la bruttezza.
Tanto che a un certo punto il protagonista sembra essere non più Ligabue ma la provincia in cui vive, con il suo benessere privo di fronzoli e le sue piccinerie, con i suoi limiti ma anche con la serenità delle tagliatelle e delle officine, la bonarietà degli anziani e le donne di una volta, femminili e riservate. Un mondo ben ricostruito e molto fedele in cui Ligabue è un freak accettato (non è chiaro se per i soldi che elargisce, per lo status che ha o per bonarietà). Che non è molto.
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