Le voci sole, la recensione

La storia di un uomo che emigra per lavoro e con la moglie, a distanza, diventa una internet star è un pretesto per fare luddismo all'italiana

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Le voci sole, in uscita al cinema il 4, 5 e 6 luglio

All’inizio di Le voci sole c’è quasi l’impressione che per una volta un film italiano drammatico racconti una storia di persone comuni, con problemi (altrimenti non sarebbe drammatico) alle quali internet cambia la vita in meglio. È una pia illusione, chiaramente, e ci si sente quasi scemi per aver osato pensare una cosa simile, anche solo per qualche decina di minuti. Le voci sole invece è un film che racconta la devastazione umana e morale che internet porta nella vita di gente semplice, per bene, duri lavoratori, amabili coniugi (e in questo funzionano molto bene la fisicità e il tono di Giovanni Storti). È facile volergli bene per quanto sono comuni, e la tecnologia li distruggerà. Delle brave persone italiane che, poverini, hanno la sventurata idea di avventurarsi su internet.

Se per un attimo sembra ci sia un po’ di fiducia nella tecnologia è perché la storia inizia con Giovanni, un operaio che manovra le gru, licenziato per via della pandemia a cui il figlio trova per fortuna un lavoro in Polonia scavando su internet. La rete e le possibilità offerte dalla rete li salvano, ma chiaramente non è facile lavorare a distanza per un uomo in là con gli anni che lascia una moglie e un figlio a 1.300 Km di distanza. Si sentono sempre via videochiamata e una di queste, in cui a Giovanni viene insegnato a cucinare una pasta al pomodoro, messa online perché possa essere riguardata, diventa un successo in rete.

Il racconto del film è fatto per voci sole, a distanza (anche se poi il titolo farebbe riferimento agli hater, sono loro le voci sole), ed è quello di una coppia tradizionale italiana che diventa suo malgrado una coppia di influencer, inizia a vedere dei profitti e dei regali per questo status raggiunto ma da questo tipo di fama e da quel tipo di notorietà e visibilità viene distrutta. E non è nemmeno la parabola della trama la parte più sconfortante quanto la lettura e le contrapposizioni simboliche che perpetuano un’immagine luddista, nostalgica, refrattaria ad ogni novità. Con il controcanto del lavoro duro, fatto con le mani e con il fisico, le giornate sfiancanti che massacrano Giovanni, spronato dalla moglie e dal suo desiderio di un po’ di riconoscibilità e di fama (oltre che di soldi) a fare quei video, tutto Le voci sole funziona per opposizione e contrasto, opponendo la frivolezza dei video che accumulano views alla serietà del lavoro in fabbrica.

Sfruttando l’abusato luogo comune del lavoro online che non sarebbe un lavoro reale, Le voci sole lo contrappone continuamente ad immagini di fabbrica di stampo quasi documentaristico. Sfruttando il reale fenomeno dell’odio online e dell’hate speech, Le voci sole dà in pasto delle ingenue figure tradizionali italiane alla smaliziata cattiveria dei commenti online. Sfruttando la mitologia del vortice mediatico che consuma e macina chi non lo sa cavalcare, crea dei protagonisti tragici perché destinati all’infelicità non dalle loro azioni ma da un mondo ingiusto intorno a loro. Mondo che somiglia molto poco alla meschinità umana (le persone che incontrano sono tutte molto umane) e molto ad un totem malvagio chiamato tecnologia. O se vogliamo modernità. Il problema non sono gli altri (come testimoniano le brave persone incontrate in fabbrica) il problema è proprio lo strumento tecnologico che piega ogni essere umano che vi entra o che ci si affida fino a farne un demone.

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