Vjeran Tomic: lo Spider-Man di Parigi, la recensione

Dentro a Vjeran Tomic: lo Spider-man di Parigi non c'è solo una storia incredibile ma anche qualcosa di profondo e maschile

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione del documentario di Netflix Vjeran Tomic: lo Spider-man di Parigi, disponibile su Netflix dal 20 ottobre

Nel mare di documentari di Netflix non c’è nessuna speranza di incontrare qualcosa di formalmente audace o innovativo o anche solo che ingaggi un po’ di duello con lo spettatore, che insomma voglia farsi capire invece di spiattellare tutto. E va bene. Quello che è lecito però pretendere è almeno qualcosa di sorprendente. Vjeran Tomic: lo Spider-man di Parigi lo è. E come! È la storia del più grande ladro di Parigi a cavallo tra gli anni ‘90 e i 2000, raccontata con grandissima asciuttezza e una concentrazione sui fatti e le imprese che paga, visto che queste imprese sono realmente clamorose. In più tutto il documentario è corredato da una produzione di finzione, cioè materiale girato oggi, che una volta tanto condisce benissimo i racconti e fornisce il tipo di contrappunto alla rievocazione dei fatti che serve.

Tomic rubava passando dai tetti, per farla semplice. Aveva imparato nell’esercito ad arrampicare e con la sua struttura fisica e la sua predisposizione al rischio era diventato un grande arrampicatore. Quando vediamo i video girati (oggi) con una videocamera in soggettiva delle sue camminate sui tetti, sui balconi, sui cornicioni e vicino agli abbaini delle case del centro di Parigi è chiaro come potesse essere diventato un formidabile ladro di appartamenti: entrando dall’alto negli appartamenti agli ultimi piani che per questo non ritenevano di dover avere allarmi. Ladro gentiluomo che non faceva vittime a un certo punto si è appassionato all’arte (per rubarla) e ha tentato il più grande furto di quadri della storia recente francese.

Il documentario ricostruisce tutto con Tomic stesso e la polizia (separatamente), spiega cosa sia accaduto minuto per minuto, come siano state possibili le imprese e come poi Tomic sia stato catturato. Riesce insomma a scatenare l’emozione cruciale di tutto questo racconto: l’ammirazione. Quando scopriamo che anche la polizia dell’epoca, in un certo senso, lo ammirava e lo trattava con rispetto (non era un violento, non uccideva, non picchiava e soprattutto rubava solo ai molto ricchi, per ovvie ragioni) è chiaro come questa storia sollevi e coltivi nello spettatore qualcosa di profondo.

Il ladro gentiluomo (in un certo senso), il criminale raffinato capace di imprese impossibili per tutti gli altri, genera il tipo di ammirazione virile per l’audacia, la competenza, l’abilità e il coraggio che è il perno della cultura maschile occidentale. Le vittime stesse dei furti, anni dopo gli eventi, ne parlano ammirati, riconoscendo un’abilità fuori dal comune e accettando di buon grado il furto perché eccezionale. La stessa dinamica di ammirazione per quello che è un ladro che subisce il pubblico è l’esposizione più flagrante della sudditanza che esiste nella società occidentale per i valori maschili nella loro massima espressione a prescindere dalle finalità cui portano.

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