Vita da Carlo: la recensione

Vita da Carlo è la serie che doveva essere il Curb Your Enthusiasm di Verdone è invece il suo Otto e mezzo. E va decisamente bene così

Critico e giornalista cinematografico


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Vita da Carlo: la recensione

Carlo Verdone è probabilmente l’unico in Italia oggi a potersi permettere una serie come Vita da Carlo. L’hanno capito bene Nicola Guaglianone e Menotti, che l’hanno ideata assieme allo stesso Verdone, come hanno capito bene lo spunto migliore per creare una serie di eventi che si rincorrono durante le puntate: Carlo Verdone vuole fare un film serio e, parallelamente, un equivoco fa sì che venga invocato a gran voce dalla rete come nuovo sindaco di Roma (cosa che accende la fantasia del presidente della Regione Lazio nonché segretario di partito che inizia a corteggiarlo).
Da qui gli eventi si intrecciano con il rapporto con la figlia (e il di lei ragazzo appena mollato), una bella farmacista (Anita Caprioli), la ex moglie, l’amico Max Tortora e il produttore aguzzino.

È la vera vita di Carlo Verdone. Più o meno. È la finta vera vita di Carlo Verdone, una versione drammatizzata che cambia tutto nell’intreccio e nei personaggi (che non sono le vere persone se non per qualche cammeo famoso) ma cerca di tenere lo spirito dell’assurdità di essere Carlo Verdone a Roma. Vessato dai fan, da chi lo riconosce e da chi vuole comandarlo e pensa di sapere cosa dovrebbe fare, Verdone dice sì a tutti condannandosi a situazioni paradossali, eventi umilianti e momenti grotteschi. È tutto un po’ autoassolutorio ma controbilanciato da una ferocia verso i romani e l’inferno cui lo condannano che è l’elemento più inatteso della serie.

Vita da Carlo roma

Verdone viene da anni di commedie pessime. Da quando la Filmauro è diventata la sua casa di produzione (a partire da Il mio miglior nemico con l’eccezione di Io, loro e Lara) la qualità è precipitata progressivamente, qui c’è ancora la Filmauro dietro e si vede molto nella semplicità di tantissimi dettagli (le musiche che abbassano tutto, le grafiche, i costumi ecc. ecc.) ma non ci sono dubbi che la scrittura sia tra le migliori della carriera di Verdone. Come nei suoi film migliori il vero protagonista sta dietro ai personaggi ed è lo sfondo, sono i romani e quindi per estensione Roma come luogo caratterizzante. Solo che questa volta invece di essere un pugno di ottimi caratteristi a rappresentarla, sono moltissimi piccoli personaggi. Ogni puntata vede Verdone scontrarsi in un modo o nell’altro con fan, conoscenti o semplici romani, in modi diversi. È una galleria larghissima che si avvicenda rapidamente come una massa senza nome che caratterizza le sue giornate.

Dovrebbe essere Curb Your Enthusiasm il punto di riferimento e invece è più una versione ironica (ma sotto sotto seria) di Otto e mezzo, cioè una serie in cui non viene messa in scena una routine comica usando la vita vera (come nei monologhi degli stand up comedian i veri eventi sono un trampolino di lancio) ma in cui la metafora della propria vita è occasione per un bilancio, condito anche di sogni che ossessionano il protagonista stretto tra un film drammatico e d’autore (Incrocio di ombre è il titolo), uno comico che non vuole fare ma che il produttore gli vuole imporre (Lo famo anziano, in cui dovrebbe riprendere i suoi soliti personaggi) e la candidatura a sindaco di Roma sempre più paradossale.
Sembra che ovunque vada, anche all’università per una lezione, anche davanti ad un matrimonio o a trovare una malata terminale, Verdone sia condannato ad essere pupazzo a rifare i suoi personaggi.

vita da carlo max tortora

Certo negli interni la semplicità della produzione rischia di flirtare con la sit-com, specie per la scelta retro di avere una domestica del nord Italia con cui battibeccare come fosse una commedia degli anni ‘50 con Aldo Fabrizi, ma c’è in questa serie malincomica una forza nemmeno troppo nascosta, e un colpo di coda di cui non era scontato che Verdone fosse ancora capace. Sotto alcuni momenti di poesia molto da poco (uno coinvolge il solito, stanchissimo, Rocco Papaleo), sotto quelle musichette e certe grossolanerie, c’è un gran lavoro con i caratteristi, un gran lavoro di dialoghi e un’audacia che i suoi film non hanno più nel prendere posizioni non per forza comode.

Per la prima volta con se stesso (il vero se stesso) al centro, un’opera di Carlo Verdone non parla di nessuno se non della sua condizione assurda, un forzato di Roma, che la ama tantissimo, la conosce e la rispetta ma che è circondato da persone che a noi risultano subito intollerabili, villane, incivili e insopportabili e che invece lui sopporta e alle quali vuole anche un po’ bene, perché parte del suo successo. È la sua condanna più grande, di non poter neanche corteggiare una farmacista (che poi non è difficile vederci un grande amore per la farmacia in sé) o non poter andare allo stadio in santa pace, ma essere sempre un uomo decente e per bene, coinvolto involontariamente nel continuo grottesco dei suoi concittadini.

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