La vita bugiarda degli adulti, la recensione
Uno dei migliori adattamenti da Elena Ferrante, La vita bugiarda degli adulti non racconta solo ma affascina con modelli alternativi di donna
La recensione di La vita bugiarda degli adulti, disponibile dal 4 gennaio su Netflix
L’essere considerata brutta dal padre la stimola a riuscire a passare ad un’altra fase della vita, cambiare, migliorare in qualsiasi maniera possibile. La risposta sembra stare proprio in quel paragone con una donna che non conosce, che sembra reietta, la cui immagine è stata ritagliata via dalle foto e a cui tuttavia lei (a quanto pare) somiglia. Dal Vomero Giovanna pretende di essere portata al Pianto (quartiere inesistente e popolare) spinta dalla curiosità, per conoscerla. Già qui compaiono due elementi tipici delle storie di Elena Ferrante che sono state adattate. Da una parte c’è il potere delle parole, è una sola frase a scatenare tutto, una in cui ogni parola è un macigno, sia la valutazione estetica sia il paragone con la zia. Dall’altra c’è il modello non allineato da ammirare. In zia Vittoria troveremo infatti la donna che spesso c’è nelle storie di Elena Ferrante, burbera, fastidiosa, scostante ma anche vitale, intelligente, autonoma e per questo ai margini della società.
La parte più difficile degli adattamenti delle sue storie è proprio rendere questa fascinazione, farla provare anche a noi (è ciò che non riesce ad esempio in La figlia oscura). Occorre che anche gli spettatori sentano per quel modello apparentemente respingente una fascinazione, lo sa bene e lo ha capito Valeria Golino, che è perfetta, centra con una precisione invidiabile la contaminazione che serve tra la maniera in cui un’attrice sa usare un personaggio per attirare il pubblico e poi l’opposto, la capacità di spiazzare in negativo e non soddisfare chi segue la storia come vorrebbe. Accade così che anche ciò che di solito ci respinge qui in realtà ci attira e crea un fascino unico. Questo movimento di attrazione là dove solito c’è una respinta è esattamente quello che smuove il cervello e cambia le idee, quello che scomoda lo spettatore e lo mette di fronte al fatto che nel mondo, in quello che vediamo e nelle persone, esistono dettagli, questioni e bellezze che non immaginiamo e non sono immediate. Che non c’è un solo modello di donna interessante, quella solita, accogliente, materna, ma più di uno.
Per fare questo occorre una grande perizia. Tutto La vita bugiarda degli adulti è prima di tutto molto ben messo in scena, è proprio ben tagliato senza per forza immaginare un prodotto televisivo all'insegna della chiarezza ma anzi concedendosi tantissimo spazio per soluzioni sorprendenti. Sembra perdere tempo e invece sta costruendo con un bel passo un contesto e una situazione così chiari che a lungo non hanno bisogno di un intreccio forte, gli bastano i piccoli assaggi della trama, come briciole da seguire mentre ci godiamo il paesaggio e una protagonista che interessante lo è per davvero (peccato solo per il casting che non va fino in fondo e non l’ha trovata realmente bruttina ma anzi molto bella e attraente). In più la passione per l’esplorazione di De Angelis qui è anche musicale, con un tappeto underground molto anni ‘90, elettronico e ricercato, che non solo sembra dare una forma al film stesso (che usa la voce fuori campo come nella musica di quell’epoca si usava il parlato nell’elettronica, ripetitivo, ossessivo e quasi impersonale) ma racconta anche il mondo di riferimenti di Giovanna, uno che lei stessa non conosce bene ma osserva dalla sua finestra borghese ballare su un tratto di strada che finisce nel niente (che immagine!).
La goduria di questa serie sta tutta nella maniera in cui sembra seguire percorsi autonomi per raccontare ogni cosa. Molto viene dal testo ma è evidente quanto De Angelis ci metta di suo per adeguare la regia, le scene e le soluzioni più creative. Ci sono adulti che inizialmente usano la ragazza per mandarsi messaggi, almeno fino a che lei non comincia a capire come stiano davvero le cose (e quando crediamo di averlo capito scopriamo che è l’opposto), poi c’è il bracciale come mezzo di comunicazione non verbale (con noi e tra personaggi) e poi ancora la maniera in cui l’indole burbera e scontrosa di una ragazza che non è bella ma piena di desiderio si relazioni con il mondo.
Quando nel quinto episodio Giovanna anela ad un contatto con un uomo che le piace (ed è fidanzato con un’amica) ingaggia con lui una discussione polemica. Sembra a tutti una disputa intellettuale da posizioni contrapposte ma scrittura, regia e interpretazione complottano per farci capire che in realtà non è così. Quell’atteggiamento duro e polemico è l’unica maniera che Giovanna padroneggia e conosce per creare una relazione. Il conflitto come unica arma per entrare in contatto con gli altri se non si è integrati, se non risponde ai consueti modelli umani. E il conflitto come balletto sentimentale, amoroso, di conquista acerbo, da adolescente ad un passo da diventare altro.