Vinyl 1x10 "Alibi" (season finale): la recensione

Finale in crescita per una stagione imperfetta come è stata quella di Vinyl, l'attesissima serie della HBO

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Spoiler Alert
I miti, di qualunque specie essi siano, conoscono solo verbi al passato. Il presente non può mai essere straordinario per chi lo vive, ma può essere solo idealizzato in prospettiva. E guai a chi riuscisse per un attimo a dare un'occhiata a come veramente erano quei "tempi migliori", perché la delusione potrebbe essere enorme. Questa era una piccola riflessione sul senso della prima, imperfetta stagione di Vinyl, che si è conclusa con il decimo episodio intitolato Alibi. Puntata non eccezionale, ma tra le migliori offerte dalla serie della HBO, ricca di confessioni e svelamenti, di momenti gratificanti, per quanto molto artificiosi, e di illusorie promesse per un futuro che vorrebbe presentarsi come più sereno, ma che rimane poco equilibrato.

Si riprende esattamente dalla decisione di Richie di fare il doppio gioco con il boss Galasso, decisione che tuttavia non riuscirà, per una serie di circostanze, a trovare realizzazione. Ci penserà qualcun'altro, nello specifico Zak, ferito nell'orgoglio da una sfuriata del criminale, a tirargli un brutto colpo. Ne consegue tutto un percorso parallelo a quello dell'etichetta discografica, in cui personaggi tutto sommato mediocri e amorali cercano di tirarsi fuori come possono da una situazione molto pericolosa. Ci riescono, ma non ci sarà nessuna vittoria per loro, solo nuovi segreti che vengono a galla tra i due personaggi più importanti della neonata Alibi Records, barriere che crollano e rapporti guasti che sicuramente saranno al centro della seconda stagione.

Nel frattempo il debutto dei Nasty Bits va più che bene, anche grazie all'intervento di Richie che nel momento culminante opera per gettare sulla band una luce sinistramente affascinante e di facile piglio sui giovani. Clark impressiona Julie e gli altri grazie al suo lavoro sulla promozione degli Indigo: non solo punk, ma anche musica dance nel futuro dell'etichetta. Tutto si conclude con un'autocelebrazione dell'etichetta da parte dell'uomo che più di tutti ha contribuito a farla naufragare. Bombolette di spray alla mano, Richie invita i suoi dipendenti a demolire ciò che è rimasto della vecchia etichetta e a dare il benvenuto al futuro. Le parole sono edificanti, ma tutto è fasullo, fuori posto, costruito da parte di una persona che di promozione se ne intende. Un eloquente scambio di sguardi con Zak ci dice che le parole non basteranno a costruire un futuro.

Più volte analizzando le scorse puntate abbiamo visto come lo stile ricercato, il valore della musica come strumento per dettare il ritmo della narrazione, le buone prove del cast abbiano sollevato Vinyl molto al di sopra delle sue mancanze di scrittura. A viaggio concluso, l'impressione è che le enormi premesse, e promesse, della serie di Terence Winter, Martin Scorsese e Mick Jagger ne abbiano appiattito, piuttosto che aumentato, le possibilità. Dietro le libertà autoriali si nasconde un modo di fare televisione che deve imitare se stesso, perché non può o non vuole aspirare ad essere altro o perché questo è esattamente ciò che ci si aspetta da esso. La grande narrazione come siamo abituati ad intenderla sul piccolo schermo, cioè con tutti i suoi illustri predecessori, dai Soprano a Boardwalk Empire, diventa quindi un modello: ottimo per i riferimenti alti, pessimo per i paragoni impietosi.

Perché Vinyl, va detto, non è affatto una brutta serie. Avevamo iniziato qualche mese fa a parlarne evidenziandone il carattere se non sperimentale, quantomeno ispirato nell'utilizzo della musica come motore della narrazione, accompagnamento delle situazioni, strumento di transizione da un momento ad un altro, sorprendente nelle sue variazioni da suono diegetico ad extradiegetico, a volte con una fusione di entrambi. Tutto questo è rimasto ed è un valore che non può essere sottovalutato. C'è stile, c'è una regia dinamica e appassionata al racconto, ci sono dei momenti di confronto tra professionisti del settore che sono sinceramente coinvolgenti. E ci sono indubbiamente delle scelte meno riuscite.

La storyline criminale è apparsa come un dazio da pagare al modello cui si accennava sopra, come se la ricercata ricostruzione della scena musicale anni '70 non fosse abbastanza interessante. Alcune vicende hanno funzionato meno di altre. Su tutte quella di Devon, non a caso esclusa da questo finale, probabilmente costretta ad alcuni passi che il suo personaggio – non per colpa di Olivia Wilde, anzi – non era ancora pronto ad affrontare e che la scrittura non è stata in grado di supportare. Molto meglio alcuni personaggi di contorno come la Jamie di Juno Temple e il Julie di Max Casella. Da sottolineare anche la prova di Ray Romano, degnissima controparte di Bobby Cannavale.

Il loro scambio conclusivo è uno dei momenti più intensi del season finale, e si accompagna ad una serie di intuizioni, per quanto esagerate, in linea con il contesto. Si tratta di giocare con la Storia, dato che questo è il percorso che la serie ha scelto di seguire, e l'avevamo già scoperto con le apparizioni di star negli episodi precedenti. E quindi si gioca con la costruzione di una "mitologia" interna all'etichetta discografica, raccontando momenti che sul momento ci appaiono esagerati e fuori contesto, ma che in prospettiva, immaginandoli in un racconto futuro, potremmo quasi apprezzare: "ti ricordi quella volta che Richie ha chiamato la polizia per farla salire sul palco?", "eravamo così disperati che abbiamo dovuto sparare a Kip una dose di coca a dieci minuti dal concerto". E così via.

E questo potrebbe valere anche per la serie in sé. Ricollegandoci quindi al discorso iniziale, pur con tutte le sue evidenti mancanze, Vinyl potrebbe crescere nella nostra considerazione nel lungo periodo, senza aspirare a grandi numeri, ma convincendo. E sperando che il passo indietro di Terence Winter, emblematico dei problemi della serie, sia un'occasione per correggere i difetti del progetto.

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