Vincere - La recensione

Storia di Ida Dalser, moglie dimenticata dalla Storia di Benito Mussolini, e del loro figlio. L'ultima pellicola di Marco Bellocchio impressiona a livello visivo, ma è carente in emozioni...

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Recensione a cura di ColinMckenzie

TitoloVincereRegiaMarco Bellocchio
Cast
Filippo Timi, Giovanna Mezzogiorno, Fausto Russo Alesi, Pier Giorgio Bellocchio, Michela CesconUscita22-05-2009

Se la freddezza e creare personaggi che non coinvolgono lo spettatore medio fosse una dote cinematografica, di sicuro il cinema italiano sarebbe il migliore del mondo (ora e non cinqunt'anni fa, come era in effetti). La dimostrazione ci arriva dall'ultimo film di Marco Bellocchio, Vincere, che racconta le tristi vicende di Ida Dalser, moglie abbandonata del Duce in favore di Rachele Guidi, nonostante il figlio Benito Albino Mussolini avuto e riconosciuto dal padre.

Questa pellicola ci porta anche a un'altra riflessione. Perché si fanno i film? Normalmente, perché si pensa di avere a disposizione una bella storia e di sapere come raccontarla in maniera efficace (che poi questo spesso non corrisponda alla realtà, è ovviamente un altro paio di maniche). Nel caso del cinema italiano (e questo film lo dimostra chiaramente) si affronta spesso un punto di vista letterario e storico, direi quasi metaforico e pedagogico. Non c'è dubbio, infatti, che sulla carta la vicenda di Ida Dalser sia assolutamente affascinante e piena di significati importanti, a cominciare dall'ipocrisia di chi parla di valori familiari e poi abbandona al proprio destino (peggio, ne crea uno orribile) i propri cari.

Ma tutto questo è sufficiente per fare un bel film? A parere di chi scrive, no. Il problema principale è che, proprio per la natura della storia, riuscire a emozionare non è facile. In effetti, ci ritroviamo con una donna che diventa ossessionata e che non riesce ad arrendersi all'evidenza della ragion di Stato (o meglio dell'interesse del Duce). L'unico modo per rendere veramente emozionante questa vicenda sarebbe renderla un'eroina storica antifascista (cosa che francamente non avrebbe molto senso, visto che è lei che ha finanziato la nascita del giornale di Mussolini) o, meglio, farla diventare una sorta di santa/indemoniata, come certe eroine del melodramma degli ultimi trent'anni (penso soprattutto all'Isabelle Adjani di Adele H. o alla Emily Watson de Le onde del destino).

Invece, si sceglie una strada mista, che se quasi mai cade nel ridicolo involontario (rischio forte in una pellicola del genere), lascia comunque molte perplessità. Si rimpiange, soprattutto, la volontà di Bellocchio di non prendere una direzione netta, magari puntando completamente sulla straordinaria fotografia di Daniele Ciprì. Eppure, nella prima parte del film, è proprio la capacità di creare immagini imponenti e inquietanti (perfetta metafora del destino di Mussolini) a impressionare maggiormente. Si pensi non solo alla rissa in un cinema con la proiezione sullo sfondo (idea non originalissima, comunque svolta benissimo), ma anche al duello con le ciminiere alle spalle.

Tuttavia, a un certo punto il film si incarta e non sembra avere un'idea precisa di dove voler andare. La storia ci viene raccontata in maniera raffazzonata (possibile che nessuno abbia mai offerto dei soldi alla Dalser per il suo silenzio? E come si spiega la scena finale in paese?), come se in realtà anche al regista non importasse più di tanto dar vita a una sceneggiatura solida, ma puntare a far discutere gli storici (un po' come capitava con Buongiorno, notte e le libertà 'creative' prese sui terroristi). Di sicuro, è un classico prodotto che non regge minimamente le due ore e passa di durata e a cui avrebbe fatto benissimo una sana sforbiciata. Ma forse, negli obiettivi di un certo cinema italiano, c'è anche la volontà di punire gli spettatori...

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