Vincent deve morire, la recensione

Flirtando con il post-apocalittico e con il weird, Vincent deve morire dimentica completamente di aver bisogno di sviluppare il suo tema

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Vincent deve morire, il film presentato l'anno scorso alla Semaine de la Critique di Cannes

Quelli che erano casi isolati sono diventati sempre di più la regola, cioè sempre più film vogliono l’appeal del B movie, dell’exploitation e della titolazione da Asylum. Arriva così Vincent deve morire, titolo da poliziottesco italiano, per un film che è passato l’anno scorso alla Semaine de la Critique, in cui un uomo, a un certo punto e senza una ragione apparente, viene attaccato da tutti. Sarà lui il primo a chiedersi perché e a cercare di individuare alcuni comportamenti ricorrenti: lo attaccano solo alcune persone (ma sono tante), lo attaccano dopo un contatto visivo prolungato, lo attaccano con l’obiettivo di ucciderlo e smettono di farlo quando finisce il contatto visivo. La sua diventa una vita da recluso fino a quando non incontra qualcun altro nella sua stessa situazione e capisce che è qualcosa che accade sempre di più in tutta la Francia.

C’è quest’aria da apocalisse imminente, da macchine buttate sull’autostrada ferme, supermercati presi d’assalto, fughe nelle case di campagna, morti per le strade e caos generale in Vincent deve morire, senza che poi ci sia la parte sostanziosa di questo scenario, cioè le cause, le conseguenze o l’umanità che fa qualcosa per rimediare. Rimane un’ambientazione in cui seguiamo quest’uomo grigio, medio e senza qualità, anche un po’ scemo, nel suo tentativo di rimanere vivo (ben interpretato da Karim Leklou). E questo è il problema del film: a fronte di uno spunto né eccezionale né pessimo, ma buono, non fa niente per declinarlo in un film vero e proprio; è più un corto allungato (che non è il massimo considerato che è il primo lungometraggio di Stephen Castang dopo molti corti).

Vincent incontra una donna, una reietta anche lei a suo modo, cerca di capire come non farsi attaccare e con lei vive una specie di romanticismo in fuga. Non si capisce mai bene cosa lo agiti, cosa pensi, cosa sogni e come conti di andare avanti. Non è quel tipo di film. Non si capisce cosa avviene intorno a lui. Del resto, non è nemmeno quel tipo di film lì. Non è il film che dà delle risposte ma pone domande, ed è così maldestro nel farlo che nemmeno le domande sono chiare e quindi non sono mai intriganti, non sono mai una sfida, non portano mai in quelle zone della riflessione poco battute. Vincent deve morire forse vorrebbe essere White God (di Kornél Mundruczó), cioè un film astratto, ma non riesce nemmeno in quello. Una serie di fallimenti a cascata fino a un finale in grande stile per un film in piccolo stile.

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