Il villaggio dei dannati: la recensione
Tra il melodramma, l'horror e il thriller, ad emergere ne Il villaggio dei dannati è il problema di fondo dei precedenti adattamenti. La recensione
La nostra recensione della serie Il villaggio dei dannati, dal 17 giugno su Sky
Il villaggio dei dannati: una storia sulla maternità
Il villaggio dei dannati, miniserie in 7 episodi creata da David Farr, è ambientata a Midwich, una piccola cittadina del sud dell’Inghilterra, dove, in una notte di settembre, un improvviso blackout di 12 ore causa la perdita di conoscenza di tutti gli abitanti di un’area residenziale. Tutto sembra tornare alla normalità ma ben presto si scopre che in quel lasso di tempo ogni donna in età fertile è rimasta incinta. Una volta nati, i bambini concepiti in queste circostanze rivelano particolari abilità con le quali metteranno il pericolo i genitori e l’intera Midwich. Questa situazione richiama inoltre l’interesse del governo che interviene imponendo di mantenere la segretezza e pagando i genitori per la loro collaborazione.
Nella prima parte, in cui l’asse è spostato prevalentemente su di loro, Il villaggio dei dannati è al suo meglio, portando avanti riflessioni che riguardano la scelta di tenere o meno il proprio figlio, come relazionarsi a questo, focalizzandosi sulle difficoltà di chi il bambino speciale lo porta in grembo. Quando però questi, dal terzo episodio, diventano i veri protagonisti, l’intreccio perde d'attrattiva, non riuscendo a bilanciare bene le sue varie anime.
Tra il melodramma, l’horror e il thriller
Se la dimensione introspettiva è infatti il vero cuore del racconto, quella horror è certamente presente già dalle prime scene, attraverso un’atmosfera d’incertezza e inquietudine che gioca sull'attesa. Evitando i passaggi più gore del film di Carpenter, il modello della serie sembra essere Mike Flanagan, in particolare Midnight Mass, nell’orrore che si intrufola in una comunità chiusa al suo interno, nella sua melodrammatica essenza di fondo. A questa si aggiunge un ricorso ad un campionario di tecniche da jump scare molto classiche, tra porte che si chiudono all’improvviso e oggetti fonti d’angoscia, senza però che i registi dei vari episodi abbiano l'abilità (come quella di Flanagan o di James Wan) di renderli efficaci e non prevedibili. Anche perché non c’è poi un intreccio adeguato a supportarli: la serie de Il villaggio dei dannati rivela infatti un problema alla base già evidente nei precedenti adattamenti. Il senso di pericolo proviene dai bambini, dotati di poteri a cui i genitori e la polizia cerca di far fronte. La storia presuppone che la tensione emerga dal crescendo della situazione, quando appare ben chiaro che questi sono inarrestabili e ogni tentativo di fermarli sia inutile. Se vedere per la prima volta quello di cui sono capaci può spaventare, il riproporre continuamente questa dinamica, come unico veicolo per la tensione, porta all’assuefazione. Il villaggio dei dannati dunque, forte di uno spunto di partenza intrigante, non riesce a trasformarlo in uno sviluppo narrativo altrettanto tale.
Data la semplicità di quest’assunto, la storia inserisce allora al suo interno l’intervento della polizia e delle forze governative a Midwich, in un clima di pervasivo controllo. I residenti si sentono costantemente spiati, non possono uscire dalla cittadina ed emergeranno intrighi e segreti. I vari colpi di scena però servono solamente a rendere più confuso l’intreccio e si rivelano abbastanza superflui. Le questioni della "minaccia per la Nazione", del pericolo da tenere nascosto sono infatti temi ormai abusati a cui la serie ricorre per diluire il racconto, con personaggi appena abbozzati.
Così, la serie spreca il suo interessante elemento di novità per arrivare in territori già ampiamente frequentati dai precedenti adattamenti, finendo, come questi, per non brillare particolarmente.