Vikings: Valhalla (stagione 2), la recensione
Vikings: Valhalla conferma quanto di buono fatto intuire con la prima stagione, ed elegge Frida Gustavsson a nuova regina dei vichinghi
La recensione della stagione 2 della serie Vikings: Valhalla, diponibile su Netflix
Una serie adatta al binge watching
Il motivo principale per cui questa seconda stagione è già uno dei prodotti più adatti al binge watching dell’anno è lo stesso per cui la stagione passata funzionava: ci sono tre o quattro storyline più o meno intrecciate (più meno che più, questa volta), e Vikings: Valhalla non sgarra mai, non perde tempo a inseguire il contorno, mantiene sempre l’attenzione sul ristretto nucleo di protagonisti e ha così modo di far procedere gli eventi a ritmo forsennato, e a far sempre succedere qualcosa in ogni scena. Rispetto a Vikings, che nasceva per parlare di mitologia e ha finito per parlare di politica, Valhalla è una serie di avventura, di andare in posti e scoprire cose nuove, e se nel frattempo capita anche di riprendersi il trono di Norvegia è solo un bonus.
Aiuta che le storie raccontate siano molto diverse tra loro, e rimescolino anche i personaggi rispetto a come li abbiamo conosciuti nella stagione precedente. Senza scendere troppo nei dettagli, ma Leif e Harald abbandonano le coste della Norvegia per lanciarsi in un clamoroso road (ma anche river) trip nel corso del quale, diciamo così, incontreranno tanta gente e avranno tante avventure. Freydis, invece, che da Vikings ha ereditato lo scettro di Floki diventando l’ultima custode della fede negli antichi dèi, ha un destino più statico: senza scendere troppo nel dettaglio delle sue vicende, si ritroverà nel mezzo di uno scontro tra concezioni molto diverse di “fede negli antichi dèi”, nonché accerchiata da una serie di tematiche modernissime ma non forzate, prima fra tutte il trattamento riservato ai rifugiati politici. Se nel caso della strana coppia vichinga è l’armonia del gruppo a caratterizzare il racconto, al contrario Freydis si divora tutto quello che le sta attorno, catalizzando l’attenzione solo su di sé, anche grazie a una Frida Gustavsson posseduta, e che aiuta a sopportare qualche inevitabile momento di stanca dovuto alla già citata staticità della situazione.
La doppia anima ddel progetto
Fin dal primo sbarco di Ragnar in Inghilterra, Vikings ha sempre avuto una doppia anima, affiancando alle storyline vichinghe quelle più metropolitane e maneggione della corte britannica. Valhalla, che riprende molte delle strutture e delle soluzioni narrative della serie madre, riserva molto spazio anche in questa seconda stagione agli intrighi di palazzo: sono i momenti in cui il ritmo scende, ma sono nobilitati dalla clamorosa prestazione di Laura Berlin nei panni della personificazione della paranoia, e di David Oakes in quelli della personificazione del trattenersi. Certo, i legami con la metà vichinga della vicenda si fanno sempre più flebili, ma non dubitiamo che certi amori facciano giri immensi anche in Norvegia, e la terza (e ultima?) stagione risolverà i nostri dubbi.
Vogliamo chiudere lodando il fatto che Vikings: Valhalla non è solo una serie di personaggi ma anche di azione, ed è realizzata con la giusta cura anche da questo punto di vista. Si vede poi che la squadra autoriale ha più confidenza con la materia e i personaggi, e può permettersi di esagerare con un tocco di deliziosa ultraviolenza come non la si vedeva da un po’ nel franchise. Ci sono combattimenti, risse, esplosioni e battaglie navali, e persino un momento Indiana Jones che è forse il modo migliore per capire se Vikings: Valhalla vi interessa o no. Per quanto ci riguarda noi approviamo, alzando i calici con aria truce.