Vikings: Valhalla (prima stagione), la recensione
Vikings: Valhalla è una versione pop-corn della serie originale, che intrattiene senza preoccuparsi troppo della profondità
Nel corso delle sue otto altalenanti stagioni, Vikings è comunque riuscita a mantenere un pubblico affezionato grazie principalmente alla sua natura di minestrone: la serie creata da Michael Hirst metteva sul piatto un’enorme varietà di ingredienti diversi, o fuori dalla metafora culinaria esplorava una vasta gamma di tematiche diverse, fornendo quindi nuovi spunti di riflessione a getto continuo. Vikings: Valhalla, spin-off prodotto da Netflix e creato da Jeb Stuart, è al contrario molto focalizzata, e concentrata solo su un paio di questioni centrali, intorno alle quali ruota tutto l’arco narrativo di questa prima di quattro previste stagioni. Da un lato questo la impoverisce, trasformando quello che era un intricato affresco storico in una classica lotta tra bene e male e rimuovendo ogni complessità politica e sociale; dall’altro le consente di restare concentrata dall’inizio alla fine, e di mettere in piedi uno spettacolo coinvolgente, seppur ormai privo della magia delle prime stagioni della serie madre.
Lo scontro tra fede cristiana e credenze del passato
La questione succitata è quella che già faceva da scintilla a tutti gli snodi narrativi più importanti in Vikings: lo scontro tra i vecchi dèi norreni e il nuovo Dio cristiano, sbarcato anche sulle coste della Scandinavia come effetto collaterale delle razzie compiute dai vichinghi contro l’Inghilterra. Vikings: Valhalla è ambientato circa un secolo dopo la fine della serie principale, e ci presenta quindi una situazione in fase molto più avanzata: il cristianesimo sta diventando la religione dominante anche tra i vichinghi, e i pochi che ancora rimangono attaccati ai vecchi culti vengono chiamati con disprezzo “pagani”, perseguitati e anche uccisi (da un vichingo/monaco/guerriero del quale parleremo di nuovo tra poco).
La quota folklore viene assegnata quasi interamente alla sorella di Leif, Freydis (Frida Gustavsson, miglior personaggio della stagione indipendentemente dal fatto che sia coperta di sangue o appena uscita da Midsommar), il cui rapporto con il cristianesimo è irrimediabilmente rovinato e che trascende quindi il suo ruolo di donna guerriera in cerca di vendetta per diventare il luminoso simbolo di un culto che sta sparendo sotto i colpi del crocifisso di Cristo. Vikings: Valhalla non è particolarmente sottile: è una serie che parla di una cultura in via di estinzione, e della cultura cattiva che la sta soppiantando. Non è difficile distinguere buoni e cattivi, e decidere per chi tifare – sicuramente più facile di quanto lo fosse in Vikings. Più che il ritratto di un’epoca di passaggio, quindi, Valhalla è la storia (con ogni probabilità destinata a finire in tragedia, e non a caso la parola “Ragnarok” ricorre spesso nel corso della stagione) degli ultimi eroi di un tempo ormai andato, e della gran quantità di mazzate che hanno tirato prima di salire in gloria verso il Valhalla.
Una prima stagione ricca d'azione per Vikings: Valhalla
Perché non fraintendeteci: tutte queste riflessioni sui temi della serie non nascondono il fatto che Vikings: Valhalla è prima di tutto azione (specialmente nella prima metà della stagione). E qui Jeb Stuart e la sua squadra si dimostrano all’altezza della situazione, ma senza strafare: ci sono parecchi combattimenti, tutti girati generalmente bene ma senza troppi guizzi, e critti e coreografati al servizio di uno dei protagonisti (Corlett, soprattutto, ma anche Harald/Leo Suter e Godwin/David Oakes). Si conta almeno un complicatissimo piano di battaglia che culmina nella sequenza più Game of Thrones della stagione, e sempre per restare in quota George R.R. Martin si segnala anche una notevole quantità di violenza spesso gratuita, e parecchi tableaux che sarebbero perfetti come copertina di un disco death metal.
In altre parole, Vikings: Valhalla è sottile come un tronco d’albero e raffinata come un rutto vichingo. È anche capace di fugaci momenti di grande bellezza, e sicuramente di tenere alta l’attenzione per otto episodi. Gli ultimi in particolare tirano un po’ il freno a mano per cominciare ad apparecchiare una tavola più ampia, e aprire archi che si svilupperanno solo nelle prossime stagioni. È insomma parecchio sicura di sé, senza un’oncia di timidezza. E quindi per ora è promossa; per crescere e raffinarsi c’è tempo.
Trovate tutte le notizie su Vikings: Valhalla nella nostra scheda.