Vikings (sesta stagione, seconda parte): la recensione
Vikings si chiude con le ultime battaglie, portando a termine il percorso dei suoi tanti protagonisti: recensione della sesta stagione
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Tutta l'ultima stagione di Vikings si gioca su un dialogo continuo tra pace e guerra, tra la ricerca di un posto sicuro e la sete di potere che tiene svegli la notte. Ed è emblematica nelle sue conclusioni, più che nel suo svolgimento, questa serie che distribuisce vita e morte con un certo equilibrio. Sono dieci episodi imperfetti, che vivono dell'esigenza di chiudere tutte le porte rimaste ancora in sospeso. Ma alla fine nonostante tutto riescono ad ottenere quanto voluto, e anche se la serie ha subito un certo calo dalla morte di Ragnar in poi, questi dieci episodi hanno quel che serve a soddisfare gli spettatori dello show.
La scrittura ci mette poco a tagliare i rami secchi, uccidendo chi non serve, mettendo in viaggio chi di dovere. Come avendo una lista molto chiara di compiti da svolgere, il primo blocco della seconda parte di stagione chiude la questione con i russi, mentre il secondo riporta al centro il conflitto storico tra i vichinghi e la cristianità. Alcuni punti sono chiari in questa vicenda, o meglio, Vikings sa a cosa e a chi vuole dare spazio. Tolti di mezzo praticamente tutti i protagonisti principali della vicenda, il testimone passa a Ivar Senz'ossa, che va detto lo raccoglie abbastanza bene. Personaggio più conflittuale rimasto in piedi, forse l'unico con un vero conflitto a questo punto della storia, sarà possibile empatizzare con lui, capirne i limiti, avere pietà per la sua arroganza.
Vikings racconta tutto questo adoperando per tutta la stagione le medesime soluzioni. Rapidi flashback, visioni di morte, visioni sul campo di battaglia di gente morta tempo prima. Cercando l'epicità tramite una ricercata lentezza che non ripaga quasi mai.