Vikings 5x08 "The Joke": la recensione

La recensione dell'ottavo episodio della quinta stagione di Vikings, intitolato The Joke

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Spoiler Alert
Zoppicante come il suo protagonista, fra tanti, Ivar, Vikings arriva quasi al finale della prima metà di stagione. Lo fa con un episodio che, nelle premesse, dovrebbe essere uno spartiacque negli equilibri in gico. Di fatto tutto ciò a cui abbiamo assistito nei sette episodi precedenti è servito a costruire la tensione narrativa che dovrebbe esplodere in questo contesto. The Joke è l'episodio della battaglia, per certi versi quello della resa dei conti di Vikings con se stesso. E la serie di History Channel non ne uscirà del tutto indenne. Archiviati i Sassoni, che tuttavia non potranno fare a meno di tornare ancora qui, i vichinghi trovano un nemico valido solo in loro stessi. Quindi la battaglia infuria tra fratelli e compagni.

Tutto l'episodio ruota intorno a questo. C'è una grande e lunga preparazione in campo aperto, un barlume di tregua suggerita ma alla quale nessuno crede mai veramente, e infine la battaglia consumata sul campo. In un contesto di questo tipo la battaglia dovrebbe essere una prosecuzione ideale delle tensioni dei personaggi, il culmine del loro struggimento interiore e di tutte le contraddizioni che queste alleanze – un po' casuali – portano con sé. Anticipiamo il bilancio finale dello scontro: Lagertha vince, ma la sensazione è che nulla sia cambiato veramente. Nessuna morte eccezionale, nessun tradimento (Ivar ormai jolly della situazione, villain che potenzialmente sa tutto e prevede tutto), e cattura del vescovo Heahmund.

La premessa dello scontro è lunga e ripetitiva. Più di tutto Vikings non trova quel fascino che lo caratterizzava agli esordi, quando riusciva a raccontare una storia spesso tagliata con l'accetta, ma compensata da personaggi forti. Qui invece più spesso si confonde la portata simbolica dei personaggi con il fatto di essere puramente monodimensionali. Capita a Ivar, ma anche a Lagertha, o a Halfdan e Harald, perfino a Bjorn. La battaglia in tutto questo è rumore, spade, slanci di violenza visiva che dovrebbero impressionare, ma che rimangono lì. Anche la strategia militare stavolta è al minimo sindacale.

Un po' poco considerate le aspettative. Jonathan Rhys-Meyers è sprecato al momento attuale, e nulla di quel che abbiamo visto in otto episodi compensa l'entrata in scena sul finale della scorsa stagione. Qui combatte dalla parte di chi lo ha catturato, perché probabilmente Dio lo vuole, e Lagertha lo risparmia portandolo con sé, perché probabilmente gli dei lo vogliono. Che le divinità ragionino secondo regole tutte loro va anche bene, ma la struttura ne perde in coesione e interesse. Tanto che, quasi come una provocazione, potremmo dire che in otto episodi in cui si ha sempre l'impressione che accada di tutto, in fondo non è accaduto niente.

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