Davanti ai cancelli del Valhalla, in bilico tra la vita e la morte,
Ragnar sospira e ancora una volta torna indietro, perché sa che anche se il suo destino sta per compiersi, non è ancora giunto il momento di lasciare il trono di Kattegat. La quarta stagione di
Vikings inizia così, ed è un principio che si ricollega, così come tutto l'episodio rimanente, ai fili rimasti in sospeso nel finale della terza e già movimentata stagione (la
recensione). Nel corso delle tre stagioni precedenti i brutali abitanti delle terre del nord hanno allargato sempre più i loro orizzonti, quantomeno da un punto di vista geografico, visto che per il resto sono sempre rimasti intimamente legati non solo alle loro tradizioni ma al loro senso della morale. Questa quarta stagione li vede emergere vittoriosi, ma pericolosamente esposti ad una serie di nuovi pericoli, più interni che esterni. La serie di
History Channel torna con una buona première, che pone le basi per il resto dell'anno.
Lo spirito di Ragnar pare ormai spezzato al pari del suo fisico. Già lo scorso anno avevamo avuto la sensazione di un addio imminente al protagonista, salvo poi ricrederci di fronte al piano sconvolgente per prendere l'altrimenti inespugnabile Parigi. Rimane il fatto che la morte di Athelstan per mano di Floki ha rotto qualcosa nell'equilibrio di un condottiero e di un leader che fino a quel momento di dubbi ne aveva avuti pochi. Il guerriero che nelle prime due stagioni si faceva strada prendendosi con la forza il posto di capo e sbaragliando i capi delle tribù limitrofe ha lasciato il posto ad un personaggio che ha imboccato un sentiero apparentemente privo di sbocchi positivi. La consapevolezza di un fatalismo che trabocca in ogni istante dagli occhi pieni di rassegnazione di Ragnar.
Lo stesso Ragnar che non troverà nemmeno la forza di prendersela troppo per la decisione avventata di
Bjorn di far arrestare Floki, che ora dovrà necessariamente rendere conto dell'omicidio del monaco. In generale la sensazione che emerge da
A Good Treason è che i vichinghi siano arrivati al limite delle loro possibilità. Lo sa bene Bjorn, personaggio che al pari di Ragnar è cresciuto e mutato enormemente nel corso degli anni, e ormai vive con difficoltà la sudditanza al padre.
A Parigi qualcosa è cambiato e, se da un lato la puntata si preoccupa di rimuovere – con la stessa brutale ferocia – almeno due ostacoli, la sensazione è che tutto ciò sia solo un preludio ad un grande conflitto intestino che lascerà in piedi pochi sopravvissuti pronti ad essere rimpiazzati da una nuova generazione che scalpita. Ecco quindi il massacro di quanti non accettano l'idea di Rollo di rivolgere le armi contro il fratello, ecco quindi che chi si oppone alla divisione del potere tra Lagertha e Kalf viene trucidato senza troppi ripensamenti.
La dimensione onirica della cold open, divisa tra le visioni di Ragnar e gli auspici chiesti da
Aslaug, viene quindi compensata da un episodio di forte brutalità e concretezza. Nulla ci sorprenderà veramente nel corso dell'episodio. Conosciamo questi personaggi, e sappiamo che la diplomazia e i compromessi non fanno parte del loro vocabolario. Eppure la messa in scena, per quanto attesa, o forse proprio perché attesa, non ci lascia indifferenti, e possiamo effettivamente sentirci partecipi del massacro dei vichinghi ribelli. Merito di una serie che negli anni ha costruito un'impronta riconoscibile, peraltro imitata da altri show (su tutti
The Last Kingdom), e un solido corpo di personaggi che seguiamo con attenzione nel loro tragico percorso. E questa stagione si preannuncia come la più tragica vista finora.