Eye for an Eye. Occhio per occhio è una sentenza definitiva, che scavalca l'ambito religioso morale da cui si origina per attraversare mari e tradizioni e diventare una semplice necessità di
vendetta. Con questo quarto episodio, paradossalmente il più avaro di azione pura rispetto a tutti quelli che abbiamo visto finora,
Vikings fa un altro passo verso la grandezza. Lo storia non esplode, ma le cariche sono tutte pronte e accese, il campo di battaglia, i personaggi e le relazioni di vario genere che intercorrono si sommano l'uno all'altro. Il risultato è un'esperienza narrativa sempre più interessante e coinvolgente.
Avevamo lasciato Jarl Borg ormai sul trono di Ragnar, dopo aver invaso le sue terre e costretto alla fuga la sua famiglia. La notizia giunge infine al protagonista, che immediatamente si congeda da Horik, che pure grande colpa ha in ciò che è accaduto, e da Athelstan, che sceglie di rimanere nel Wessex. Ciò avviene dopo un rapido, forse troppo inverosimile confronto tra Ragnar e Re Ecbert, nel quale il protagonista rimarca ancora una volta il suo desiderio non solo di depredare, ma di stabilirsi in quelle zone. Lo scontro tra i due è solo rimandato, ora pericoli più immediati richiamano allo scontro.
Nella fuga e l'esilio, nella necessità di allearsi per fronteggiare un nemico comune, vengono meno i dissapori di un tempo, e Ragnar ritrova in
Lagertha e nel figlio
Bjorn, così come nel fratello Rollo, degli alleati per la propria causa. Intanto Athelstan viene catturato e crocifisso per apostasia, ma è salvato in extremis da un provvidenziale Re Ector, che forse se ne servirà per gli scontri futuri. E d'altra parte l'ex monaco e Ragnar non si erano lasciati con i migliori auguri. Ragnar è una figura che riesce a passare dall'euforia della battaglia, alla solennità dei momenti più drammatici, al dissacramento di tutto ciò che non reputa alla propria altezza. L'abbiamo visto prendersi gioco di altri regnanti, ma non di Ecbert, né tantomeno di
Athelstan, a cui riconosce il diritto di scelta (e non è poco), al tempo stesso rammaricandosi per la sua decisione.
Rimane difficile decifrare il personaggio di Aslaug. In Vikings molti dei caratteri peccano di motivazioni non esattamente nobili, di modi truci, di slanci estremi, ma sono anche molto diretti, coerenti, immediati nelle loro condotte (Lagertha vuole davvero aiutare Ragnar, e suo figlio Bjorn non potrebbe essere più sincero). Aslaug invece non ha mai dato questa sicurezza. A conti fatti, è uno dei personaggi meno violenti della serie, eppure è anche il più sgradevole e difficile da inquadrare.
L'urgenza narrativa, il clima di tensione e la costante accelerazione degli eventi che stiamo vedendo in questa quarta stagione ci mantiene in allerta. In questo episodio succede di tutto, forse addirittura troppo. Il tempo della storia si dilata e si restringe secondo le necessità, le distanze non sono un problema, gli incontri provvidenziali e i rapidi cambi di fronte sono la normalità. È troppo, ma è un troppo che riesce a sostenere il proprio peso grazie ad una buona scrittura, a dei personaggi forti, e soprattutto ad un'imprevedibilità di fondo che mantiene la curiosità su come potrà evolversi la storia.