Victoria: la recensione della prima stagione
La recensione della prima stagione della serie Victoria, con protagonista Jenna Coleman nel ruolo della sovrana
Victoria - ruolo affidato a Jenna Coleman dopo il suo addio a Doctor Who - nel 1837 ha solo diciotto anni ed è consapevole di come chi è intorno a lei, persino sua madre, non la consideri adatta a guidare una nazione, cercando in vari modi di influenzarla e manipolarla. A sostenere la sovrana è però Lord Melbourne (Rufus Sewell) che intuisce il suo potenziale per diventare una leader carismatica, saggia e amata dal suo popolo. Victoria si avvicina così inevitabilmente al primo ministro, considerandolo un mentore e stabilendo con lui un legame all'insegna della fiducia e di un affetto profondo. La regina, oltre ai problemi politici, deve però inoltre affrontare le critiche causate dal non essere sposata, ritrovandosi alle prese con "proposte" ideate per controllarla.
La scelta di umanizzare una figura così importante a livello storico non è sicuramente delle più facili, considerando inoltre la giovane età e l'inesperienza che contraddistinguono Victoria dopo la sua incoronazione, e i primi episodi del progetto introducono la figura di una ragazza ancora insicura, un po' egoista e alla ricerca di un qualche tipo di approvazione dalle persone che fanno parte della sua vita e dai suoi sudditi. Jenna Coleman, nonostante le tanto criticate lenti a contatto colorate necessarie a interpretare il ruolo, riesce con bravura a gestire i tumulti interiori del suo personaggio e i suoi tentativi di dimostrare la propria indipendenza e fare i conti con la consapevolezza di quanto comporta il potere che eredita. Grazie alla performance dell'attrice e del sempre convincente Rufus Sewell gli spettatori possono comprendere senza problemi la complessità del rapporto che si stabilisce tra la regina e il suo primo ministro. La sceneggiatura, soprattutto dopo il primo episodio, punta tuttavia a creare tra i due la tensione che contraddistingue una relazione destinata fin dall'inizio a non avere un lieto fine, approccio che sfocia quasi nell'atmosfera da soap in costume quando entra in scena Albert (Tom Hughes). Dal momento del ballo in costume, ben ideato per dimostrare quanto le donne dovessero fare i conti con un mondo maschile che si considerava superiore e legittimato a comandare, gli equilibri si spostano già verso il nipote di Leopold (Alex Jennings), seguendo, in contemporanea con l'avvicinarsi al suo futuro marito, il passaggio all'età adulta di Victoria.
Il protagonista maschile viene poi sviluppato con attenzione mostrandone il rapporto con il fratello Ernest (David Oakes) e lo zio, delineando una figura in grado di andare oltre le apparenze e capire che tipo di persona è Victoria dietro una facciata più matura e sicura di quanto sia in realtà nella vita privata. Il feeling esistente tra la Coleman e Hughes rende possibile non far scivolare la rappresentazione del corteggiamento e dei successivi problemi causati alle origini di Albert, non particolarmente apprezzate dai membri del Parlamento, in un territorio fin troppo edulcorato e smaccatamente fiabesco, ancorando le emozioni, i passi falsi e le incomprensioni, in un contesto piuttosto realistico per quanto riguarda le aspettative, politiche e sociali, legate al loro matrimonio. Lo script non esita a ribadire il potenziale triangolo sentimentale, tuttavia i tentativi di mostrare i punti di vista di entrambi i protagonisti prima e dopo la cerimonia permettono di introdurre qualche elemento storico in più rispetto ai primi capitoli della storia, seguendo la lotta di Albert per trovare il proprio posto nella sua nuova vita, andando oltre il classico "happy ending" delle storie delle principesse e dei loro principi. A diluire ancora di più la rappresentazione storica, purtroppo, ci pensa però lo spazio dato a Ernest, alla Duchessa del Sutherland (Margaret Clunie), e ai problemi, anche sentimentali, di Miss Skerrett (Nell Hudson).
A livello visivo, Victoria appare comunque piuttosto curata, nonostante alcune sequenze dimostrino in modo evidente l'utilizzo degli effetti speciali in post-produzione. La fotografia firmata da John Lee permette invece di valorizzare le scenografie e i costumi curati rispettivamente da Tanya Bowd e da Rosaling Ebbutt, già nel team di Downton Abbey, che impreziosiscono momenti importanti come l'incoronazione o il matrimonio della coppia.
Le musiche di Martin Phipps, autore anche del suggestivo tema dello show, e da Ruth Barrett risultano inoltre in grado di seguire gli eventi senza apparire invadenti.
I primi otto episodi, a livello temporale e tematico, sembrano piuttosto discontinui, passando dall'atmosfera eccessivamente romantica della nascita dell'amore tra Victoria e Albert alla rappresentazione di situazioni complesse e importanti, come l'abolizione della schiavitù, arrivando al finale in cui la sovrana è messa di fronte a un rischio inaspettato e a un cambiamento personale che la obbligano definitivamente ad accettare la radicale trasformazione avvenuta nella sua esistenza e le responsabilità di dover guidare un impero. La visione, tuttavia, risulta piacevole e coinvolgente se non si è alla ricerca di una rappresentazione approfondita dell'epoca, preferendo invece concentrarsi sull'umanizzazione della famiglia reale. La narrazione risulterebbe inoltre più scorrevole se gli autori avessero deciso di concentrarsi su un numero limitato di personaggi senza introdurre alcune sottotrame che, almeno in questa prima stagione, non vengono sviluppate adeguatamente, limitando così l'interesse e l'attenzione degli spettatori.