Vicious (seconda stagione): la recensione

Recensione della seconda annata di Vicious, serie britannica con Ian McKellen e Derek Jacobi

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Ci volevano due attori di altissima levatura come Ian McKellen e Derek Jacobi per sollevare una comedy come Vicious dai suoi setting poveri, dalla sua scrittura prevedibile e dai suoi tempi comici anacronistici e farne qualcosa di assolutamente adorabile. Forse perché tutti i difetti di cui sopra sono così sfacciati da non lasciare il minimo dubbio sul fatto che siano anche frutto di un approccio consapevole e nostalgico al genere della sit-com, è possibile abbandonarsi alla leggerezza della serie britannica trasmessa da ITV, di cui si è da poco conclusa la seconda stagione, composta da appena sei episodi.

Freddie Thornill (Ian McKellen) e Stuart Bixby (Derek Jacobi) sono una coppia da più di cinquant'anni. Il loro è un rapporto burrascoso, fatto di polemiche costanti, insulti nemmeno troppo celati, piccole ripicche e frecciatine. Ma si capisce presto che tutto questo non è altro che una maschera per celare il grande affetto che provano l'uno per l'altro, uniti come sono da una vita, sempre pronti a dirsene di tutti i colori in faccia, ma anche pronti a perdonarsi e a tornare sempre assieme, non riuscendo nonostante tutto a stare uno lontano dall'altro. Intorno a questa coppia di anziani omosessuali, un soggetto così atipico per una serie, ruotano una serie di amici e conoscenti, più o meno rimbambiti o pronti anche loro ad unirsi al gioco delle frecciatine e degli insulti leggeri: ma anche in questo caso sotto sotto sono chiari l'amicizia e il legame che li uniscono.

La prima cosa che colpisce, come si diceva, è la povertà, quasi la piccolezza di tutto. Vicious è una serie leggerissima e minuscola, che non spinge sugli intrecci, che si accontenta di due stanze principali e di pochissimi esterni – anche se nella seconda stagione questi aumentano – e che non offre nulla di originale allo spettatore. Spesso le battute sono prevedibili, e così anche gli eventi di ogni episodio. Basti pensare che nella première di quest'anno il gioco degli equivoci si basa sul fatto che la sorella di Violet (Frances de la Tour) torna in città, e l'amica della coppia chiede loro di prestarsi come suo marito e maggiordomo perché si vergona di se stessa. Praticamente un soggetto abusato mille volte. Oppure in un altro contesto sempre Violet e il giovane Ash (Iwan Rheon) potrebbero essere finiti a letto dopo aver bevuto troppo, situazione ideale per imbarazzo e doppi sensi del giorno dopo.

Quello che la risolleva, oltre ad un cast di protagonisti e personaggi secondari molto riuscito, è la semplicità, la schiettezza e la sincerità del tutto. In più di un momento c'è quasi l'impressione che la maschera di McKellen e Jacobi – che si conoscono da decenni – non sia poi così diversa dal loro carattere nella vita reale, e che si siano divertiti un mondo a realizzare questo progetto. È vero, è tutto molto prevedibile, ma questa impostazione teatrale – anche come recitazione quasi d'altri tempi – così artificiosa inaspettatamente ci accoglie con freschezza e semplicità, e non può fare a meno di strapparci un sorriso, fosse anche per la soddisfazione di aver indovinato con anticipo l'esito di una situazione.

Questo nei suoi momenti classici. Quando invece Vicious va oltre e crea qualcosa di più, in alcuni momenti improvvisamente intimi o addirittura tristi, diventa davvero adorabile.

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