Il Viaggio [2], la recensione

Due uomini che non si sono mai parlati, nè sono mai stati nella stessa stanza, in Il Viaggio sono messi nella stessa auto solo per guardare come interagiscono

Critico e giornalista cinematografico


Condividi

C’è sempre qualcosa dietro alla scelta di fare di un film un unico grande confronto tra due o tre persone. Non è solo la battaglia dialettica (Frost/Nixon), la lenta scoperta di una verità (La Gatta Sul Tetto Che Scotta) o l’opportunità filosofica (Quel treno per Yuma) o ancora l’elaborazione dei drammi reali (La Morte e La Fanciulla) ma ogni volta è il desiderio di rendere attraverso lo scontro di idee e punti di vista il conflitto umano più grande in assoluto, cioè l’esigenza di dover convivere per poter prosperare.

In Il Viaggio Ian Paisley e Martin McGuinness devono convivere nella stessa automobile per un viaggio, sono i leader delle due fazioni religiose e inevitabilmente politiche che hanno lottato in Irlanda del Nord. È un viaggio che non è mai esistito, inventato e creato ad arte dallo sceneggiatore Colin Bateman per Nick Hamm e il suo film, un’immaginaria conversazione dietro al vero accordo storico tra i due per la formazione del governo del 2007, il primo che unisse le due fazioni responsabili del decennale conflitto sanguinario. I due sono messi nella stessa auto con uno stratagemma, ad ascoltare le loro conversazioni e a guardarli con microfoni e videocamere nascoste c'è Tony Blair, nella trovata più scema e ingenuamente metaforica di tutto il film.

In sé, con la sua conversazione inventata, i suoi riferimenti reali ma anche i dialoghi creati arbitrariamente e i suoi caratteri solo lontanamente ispirati a quelli dei due veri personaggi, Il Viaggio non può davvero parlare del proprio tema (la guerra civile in Irlanda Del Nord), quello di cui davvero parla, e anche molto bene, è inevitabilmente la politica nel senso più generale e meno contingente: come esigenza umana.
Come due uomini dagli ideali di ferro, molto più convinti e dediti alle proprie cause del politico medio, possano e debbano venire a patti e compromessi con sé, la propria storia e la propria etica per un bene superiore. A partire dagli spazi stretti dell’automobile, dall’esigenza di non darsi fastidio nella tratta e poi doversi aiutare per superare piccoli problemi (tipo una gomma bucata), Il Viaggio oscilla tra materiale e ideale ammirabilmente, tra contingente e assoluto in maniera più ampia di un dramma teatrale, con un uso ammirabile degli spazi, stretti o ampi che siano, come sfondi mai casuali ma alcove evocatrici.

La materia dei dialoghi tra i due oscilla tra le accuse, le recriminazioni, gli intenti, i valori e l’affermazione del proprio mondo e delle proprie ragioni sull’altro, ma esiste anche una sottile strategia nelle teste di ognuno che costituisce il sale filmico, quella dolce falsità e retorica della narrazione audiovisiva che rende la storia mito. I Paisley e McGuinness reali hanno colpe e responsabilità che al cinema interessano solo relativamente, solo quando sono utili a metterli in crisi, quelli falsi di Il Viaggio sono titani, emblemi di virtù con contrasti interiori terribili e tempestosi. Ci voleva un gran coraggio a piegare così tanto figure vere e importanti della storia irlandese, a inventare e creare così tanto su fatti e questioni drammatiche per tirare fuori qualcosa di cui certamente possono beneficiare più i non irlandesi che gli irlandesi.

Continua a leggere su BadTaste