I viaggiatori, la recensione

Attingendo a generi e ispirazioni diverse e facendo un grande mix per creare un fascixploitation, I viaggiatori manca proprio il divertimento

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di I viaggiatori, disponibile su Sky dal 21 novembre

In mezzo c’è stato il teen drama di SKAM Italia 5 ma Ludovico Di Martino prima con La Belva e ora con I viaggiatori sta cercando di affermarsi come regista di nuovo genere italiano, capace di abitare lo spazio che si sta creando a fatica tra generi internazionali e professionalità italiane. Trasformatore di attori, modellatore di strutture che non ci appartengono, adattatore di formati stranieri e talent scout di attori, volti e maestranze. I viaggiatori è un fascixploitation, cinema di exploitation che non abbiamo mai avuto e il cui termine ho inventato io adesso. Appartiene cioè ad un filone che non esiste ma che finge che ci sia, finge cioè di essere l’ennesimo film d’azione con fascisti fumettosi (in realtà un altro è uscito quasi contemporaneamente, Rapiniamo il Duce), che ci siano delle regole e che ci aderisca. Invece i modelli sono tutti stranieri e vengono adattati con la nostra storia.

La storia è quella dei film Amblin a cavallo tra ‘70 e ‘80, quella di alcuni ragazzi che per errore viaggiano indietro nel tempo all’Italia fascista e lì devono salvare il fratello di uno di loro. È tutto un mix di molte suggestioni diverse, dal desiderio del fascino del futurismo anni ‘40 di Bioshock Infinite(che viene citato anche a parole), ai paradossi di Ritorno al futuro (dal cui secondo film mutua la spiegazione dei futuri alternativi), in cui purtroppo c’è molto di eterogeneo e poco di coerente, come ad esempio dei partigiani che fanno delle arti marziali partigiane (!?!?!). Tutto per divertirsi, sia chiaro e grazie al cielo, peccato che di tutto questo film che non è prodotto male (anzi!), sia proprio la parte divertente quella debole.

Scrittura e recitazione arrancano moltissimo, i ragazzi sono frutto di un casting disastrato, non recitano mai ad un livello accettabile (alcuni si mangiano le parole!) e la parte leggera delle loro interazioni è francamente disarmante. È chiaro che è cinema per ragazzini con nessun livello di lettura più adulto, e va bene così, anche perché pure l’azione è ai livelli minimi sindacali e faticherebbe a soddisfare spettatori più attenti ed esigenti, lo stesso è legittimo chiedere un po’ di capacità di scrivere il divertimento. Tuttavia se l’alleggerimento non funziona va ammesso che tutta la parte del fantastico, cioè gli effetti visivi e la concezione di costumi e art direction tra storia e fumetto, è molto forte (Gifuni truccato sembra il grande Henry Silva) e qualche scena eccitante c’è (per quanto le colluttazioni facciano ancora sorridere per ingenuità).

In un’altalena continua di buoni momenti e delusioni, quando poi il film arriva al dunque, quando deve portare tutti i protagonisti alle decisioni più difficili, raccontare un po’ di eroismo, far svettare i cattivi e mettergli dei buoni a livello, non riesce ad affondare. Se la scienziata frustrata dalla poca legittimazione che ha nel presente ed esaltata da quella che le dà il regime è una bella idea (figlia distopica di Smetto quando voglio), invece il rapporto tra i due fratelli che regge la trama (sono loro a cercarsi lungo il film) non è mai davvero costruito, non abbiamo mai visto quanto sono davvero legati, così quando sarà il momento di fare di tutto l’uno per l’altro noi spettatori non ci teniamo quanto dovremmo. Che è un po’ il segreto di fare cinema di genere, la capacità di essere efficaci nel punto in cui serve, e di riuscirci avendo costruito il film in funzione di quello, della soddisfazione.

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