Vermiglio, la recensione: alla fine la vera scoperta del film è lo sguardo di Maura Delpero
Una storia permeata di nostalgia e idealizzazione diventa in Vermiglio un film pieno di sentimento grazie alla sua regista
Più ci allontaniamo dalla fase contadina della nostra società, più quello stile di vita legato ai tempi della natura scompare, anche nelle comunità rurali o montane, e più il cinema sembra riempirsi di un senso di nostalgia e mancanza per quell’epoca. Nostalgia per epoche che quasi nessuno (sia tra gli spettatori che tra i realizzatori) ha vissuto. È il caso di Vermiglio, ambientato nell’ultimo anno della Seconda guerra mondiale in Friuli, nella comunità per l'appunto di Vermiglio, tra i monti. Tuttavia questo senso di nostalgia il film lo abbraccia così tanto da idealizzare il passato con un profondo senso di tenerezza per le persone.
Che Maura Delpero abbia un reale coinvolgimento lo si vede in prima battuta da come ha scelto gli attori e le attrici per la maggior parte dei ruoli, che facce e che corpi locali, e come li diriga, scovando in ognuno un’identità, una personalità e delle particolarità che la sceneggiatura non racconta ma i personaggi tradiscono. Incluso anche il maestro e padre di famiglia Tommaso Ragno (uno dei pochi nomi noti, di certo quello con la parte più importante), sempre più Donald Sutherland nelle sue interpretazioni più dure.