Venuto al mondo, la recensione
Il nuovo film Castellitto / Mazzantini / Cruz, dopo Non ti muovere, non riesce nel miracolo di superare i propri difetti e sguazza nella noiosa prevedibilità...
Quelle firmate Castellitto/Mazzantini sono produzioni molto banali, ripiegate su una visione di mondo parzialissima ed estremamente scontata, afflitte da una volontà indefessa di poesia, lirismo e trasfigurazione del reale in romantico che è tanto fastidiosa quanto tangibile, ma questo non gli impedisce, in certi momenti, di trovare un senso e anche centrare degli obiettivi. Era il caso di Non ti muovere, che sapeva districarsi tra i propri difetti per arrivare alla meta, cosa che invece non capita con Venuto al mondo, che nei propri difetti ci sguazza.
La quintessenza delle caratteristiche che generano disaffezione, se non odio, per il cinema italiano sono tutte condensate in un film dalla pessima narrazione (arditamente orchestrata su diversi piani temporali che si incrociano) e tutta finalizzata allo svelamento di un colpo di scena che, prevedibile o meno, non è clamoroso come il narratore vorrebbe nè genera la commozione che dovrebbe. E a poco servono i ralenti. Anzi.
A questo punto servono a poco l'impegno di Penelope Cruz e l'estasi di Emile Hirsch, amanti perduti la cui folle passione si desume dagli interni alternativi, dalle risate al ralenti, dai primi piani intensi o anche dalla foga delle loro litigate e dai bagni nudi nella vasca all'interno della chiatta sul Tevere nella quale vive lui.