Venom, la recensione
Pensato con il manuale delle seneggiature dei cinecomic in mano, Venom manca di personalità e non sa dove prenderne una
La versione per il cinema attenua tutte le componenti vittimiste, populiste, eversive e deprecabili di Eddie Brock (la parte umana) e dà al simbionte (la parte aliena) un’accennata backstory da sfigato con l’occasione, sulla Terra, di essere potente.
Qui Eddie Brock è sempre un giornalista cacciato da una grande testata, ma non per i suoi modi irregolari e i suoi errori, quanto perché ha pestato i piedi ad un potente, avendo ragione. È fico e non sbandato, è sensato e ragionevole, non pericoloso ancor prima che gli vengano conferiti poteri immensi. La logica di Venom nei fumetti era di spaventare perché il massimo del potere veniva dato alla persona peggiore.
Qui no.
Venom è forse il primo film con "bollino Marvel" ad essere pensato per somigliare a tutti gli altri. Quella che racconta è smaccatamente una origin story, non mascherata da nulla, denudata per quello che è. Sembra il manuale delle "storie sulle origini" e, comunque, non è eseguito al meglio. Prima il prologo senza poteri in cui si incontra per la prima volta il villain, poi l’incontro che cambia la vita, le prime difficoltà e poi ancora la scena in cui esplodono le potenzialità in un trionfo d’azione in cui testare i poteri (per farli anche capire al pubblico) e infine lo scontro con la nemesi che si è creata nel frattempo: qualcuno di uguale, ma di segno opposto. Anche il tradizionale umorismo Marvel qui fatica ad avere un senso, molto mal temperato con il tono cupo che il film ha inizialmente.
Ruben Fleischer dimostra di non avere polso, così ordinario e timoroso da non avere la forza per reggere il peso di un film di questo tipo, in cui è necessario conoscere a menadito le strutture base per tradirle con classe, in cui il protagonista non può essere desiderabile perché fa cose fiche e dice cose da duro, ma semmai perché in maniera più complicata costruisce una personalità desiderabile.
C’era molta attesa per Tom Hardy, uno degli attori migliori della sua generazione, in un ruolo di questo tipo, ma in un contesto come questo anche le sue minuzie, i suoi dettagli e la maniera in cui dà al personaggio una camminata diversa ogni volta, un’espressione diversa in ogni fase della sua storia risulta inutile, lavoro e talento sprecati.