Venom 1 - 2, la recensione
Abbiamo recensito per voi i primi due numeri del rilancio di Venom firmato da Cates e Stegman
Fumettallaro dalla nascita, ha perso i capelli ma non la voglia di leggere storie che lo emozionino.
Sulle pagine di Amazing Spider-Man #300, di David Michelinie e Todd McFarlane, fece il suo esordio Venom, villain in grado di sbalzare Goblin dal ruolo di nemesi del Tessiragnatele. Da quel giorno sono passati più di trent’anni e ora, sfruttando il traino della pellicola dedicata, la Marvel ha deciso di affidare la serie regolare del V-Man al nome più caldo dei comics: Donny Cates, scrittore che ha già firmato per la Casa delle Idee splendidi cicli di storie su Thanos e Doctor Strange.
Quest’ultimo aspetto, in particolare, permette a Cates di gettare le basi per la costruzione di un’accattivante mitologia in cui inserire l’alieno Klyntar. Come già fatto con il Folle Titano e lo Stregone Supremo, lo scrittore di Redneck conduce il lettore in un dramma esistenziale di grande intensità che, mettendo in discussione e decontestualizzando il protagonista, ce lo restituisce decisamente più solido e affascinante.
Prezioso risulta il lavoro di Ryan Stegman, che contribuisce parecchio a rendere elettrizzante questo esordio: il disegnatore americano – recentemente apprezzato sul crossover Venom Inc. – riesce a coniugare l’ipertrofia del personaggio tipica degli anni ’90 con un gusto contemporaneo attraverso tavole fortemente espressive e dal taglio cinematografico.
Nel secondo numero, la testata edita da Panini Comics presenta la prima parte della storia Primo ospite, tratta dalla miniserie Venom: First Host, scritta da Mike Costa e disegnata dal veterano Mark Bagley. La vicenda è ambientata prima dei fatti di Rex e aggiunge importanti tasselli al passato e al presente del simbionte. In particolare, ripercorrendo a ritroso milioni e milioni di anni, lascia trasparire la voglia di ampliare lo cosmologia del personaggio, introducendo nuove, misteriose figure.
Quello di Venom è certamente uno degli esordi più convincenti dell’era Cebulski, e non possiamo che applaudire la volontà di Cates di sfruttare in maniera più organica un personaggio non sempre a fuoco, nel corso della sua storia editoriale, come dimostra il recente passato.
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