Venne dal freddo (prima stagione): la recensione

Margarita Levieva torna nel mondo delle serie tv con la serie Venne dal freddo, prodotta per Netflix, ma nemmeno la sua bravura riesce a salvare del tutto la prima stagione

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Con il romanzo cult di John Le Carré da cui prende in prestito parte del titolo, Venne dal freddo condivide solo l’ampio genere d’appartenenza - la spy story - declinato in modalità sci-fi più adatte, almeno nelle intenzioni, al palato contemporaneo. Al contrario del testo di Le Carré, nella prima stagione della serie Netflix la guerra fredda si limita a essere un ricordo che infesta la mente della protagonista.

In una Spagna da barzelletta in cui gli addetti alla sicurezza si salutano al grido di “Viva España”, la bella madre single Jenny (Margarita Levieva) viene coinvolta dall’agente della CIA Chauncey (Cillian O’Sullivan) e dal suo sodale hacker Chris (Charles Brice) in una pericolosa missione per sventare un attacco terroristico che potrebbe far vacillare l’intero Paese.

Perché questa signora, a Madrid per accompagnare la figlia Becca (Lydia Fleming) a una gara di pattinaggio, si trovi costretta a collaborare, è presto detto: Jenny cela in realtà un passato da spia russa (nei flashback giovanili è interpretata da Ivanna Sakhno), fuggita quasi trent’anni prima negli Stati Uniti in cerca di una vita normale.

Dalla Russia con dolore

Per differenziare la storia di Venne dal freddo dal racconto di spionaggio più classicamente inteso, Adam Glass (già autore di Supernatural) aggiunge un ingrediente che diviene centrale nello svolgimento della missione di Jenny: il metamorfismo. Ben presto lo spettatore scopre infatti come la protagonista abbia dalla sua capacità di trasformazione il cui misterioso ottenimento costituisce una delle linee narrative portate avanti dalla serie.

Proprio le sofferenze inflitte al corpo di Jenny sono il cardine d’interesse primario di Venne dal freddo: che si tratti di violenza inferta o subita, di strazio delle carni per ottenere l’aspetto di questa o quella risorsa chiave, non c’è sconto al dolore della nostra protagonista.

In questo senso, la serie Netflix si distingue per una carnalità cruenta e coraggiosa, non vergognandosi di mostrare lividi, tumefazioni e cicatrici atte a distruggere la patina d’eleganza attribuita solitamente al mondo delle spie. Jenny è un’assassina feroce e spesso spietata, che non risparmia raccapriccianti agonie ai suoi bersagli e, dal canto suo, riceve un egual carico di tortura.

Alti e bassi

Dove la serie perde decisamente quota è invece nella gestione dell’ intreccio delle tre linee narrative principali: una è dedicata alla missione di Jenny, una è delegata a illustrarci il passato della protagonista tramite frequenti flashback risalenti al ‘94, e l’altra è invece incentrata sul rapporto tra la nostra eroina e la figlia diciassettenne.

Nel tentativo di tenere insieme le fila di tre racconti convergenti solo sul finale, Venne dal freddo disperde negli otto episodi della sua prima stagione l’interesse dello spettatore. La relazione madre-figlia di Jenny e Becca non è mai trattata con autentica sensibilità, malgrado l’ottima performance di Levieva; il carattere di Becca resta infatti avvolto in una nube di fumosa confusione, ben lungi tuttavia dal suscitare la nostra curiosità.

Inoltre, i flashback fanno emergere una tra le tante, troppe incoerenze di Venne dal freddo. Perché nel presente ci troviamo a osservare interi nuclei familiari spagnoli che comunicano solo in inglese, quando le scene ambientate nel ‘94 sono interamente recitate in russo?

Perché, inoltre, nei suddetti flashback la protagonista nasconde armi sulle giarrettiere, ma tali strumenti sfuggono al tocco dei suoi più arditi corteggiatori? Si tratta di scivoloni di una superficialità imbarazzante e facilmente evitabili, che intaccano in modo permanente qualsiasi sospensione dell’incredulità.

Tra bocciatura e promozione

Una ricca manciata di buone idee asservite a una sceneggiatura traballante e schiava dei cliché: così potremmo riassumere questa prima stagione di Venne dal freddo. Le sue sfrontate contraddizioni, unite a un semplicismo da cartolina nel ritrarre buona parte dei personaggi, ne fanno un prodotto minore a dispetto dell’impegno profuso dai suoi interpreti e della piacevolezza delle sue sequenze action.

Non è il colpo di scena finale intuibile a metà stagione a salvare la serie dalla bocciatura completa; la forza di questo primo arco sta tutto nel carisma di Levieva e nell’attenzione riservata al tratteggio della sua psicologia, tanto rifinita da risultare quasi stonata rispetto alla faciloneria del resto dell’impianto. È per Jenny, solo per Jenny, che saremmo disposti a guardare la seconda stagione cui lo spiazzante epilogo strizza l’occhio.

Con la speranza che sia in grado di spogliarsi del superfluo e di maneggiare con più cura i propri instabili ingredienti, restiamo in attesa dell’eventuale rinnovo di Venne dal freddo. Do svidaniya!

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