Venezia 72 - The Danish Girl, la recensione

Privato di tutto il turbamento carnale e del dominio del corpo sulla testa, The danish girl racconta il cambio di sesso senza sessualità, solo con la testa

Critico e giornalista cinematografico


Condividi
Quella di un uomo che diventa donna attraverso la chirurgia è una storia di trasformazione e carne, una che unisce la testa (chi vuole fare questo passaggio lo fa perchè si percepisce in maniera diversa da quello che è) e il fisico in una dissonanza sempre più intollerabile. E intollerabile davvero doveva esserlo per il pittore Einar Wegener, che nella Danimarca di inizio novecento scopre di non poter più resistere nei panni di uomo dopo aver provato a fare la donna per gioco con sua moglie. I medici a cui si rivolge per placare il dolore che prova gli danno del matto e prescrivono cure medioevali, fino a che uno non gli proporrà la sperimentale idea di una chirurgia che asporti ciò che c'è di troppo e al suo posto poi importi il sesso femminile.

La maniera in cui Tom Hooper decide di mettere in immagini questa storia, cioè di riempirla di quei dettagli che fanno un film (dai costumi patinati, alla fotografia stereotipicamente pittorica fino alle interpretazioni ovviamente curatissime e caricate) è decisamente meno problematica e distruttiva di quel che i fatti lasciano intuire. L'abilità di questo cineasta per bene è di rimuovere il bestiale, il turbolento e il sessuale da una storia di sesso, masticare il boccone della transessualità fino a che sia facilmente digeribile da chiunque, anche da chi lo ritiene indigesto. Il risultato è un film sui transessuali apprezzabile anche da un pubblico di morigerate signore per bene, che mai si sognerebbero di star appresso a storie di sesso problematico.

Tra i dilemmi mentali e le pulsioni carnali The Danish Girl dunque non ha dubbi e racconta solo i primi, la parte più fisica e materiale, quella appena accennata del sangue vomitato per disperazione, è fuoricampo, inquadrata da lontano o raccontata a parole. A regnare sono i primi piani di Eddie Redmayne, lentamente sempre più femmineo in un trionfo di brava recitazione scolastica, garbata e pulita, così che il suo Wegener passi da gentiluomo distinto a signora elegante e non da maschio a femmina (per questo è molto più efficace anche se meno evidente l'interpretazione di sponda di Alicia Vikander).

Hooper è così abile che riesce addirittura a levare passione e turbamento dal suo primo bacio omosessuale (dato a stampo e mal inquadrato), riesce a convincere tutto il pubblico che cambiare sesso è solo una questione di spiccata sensibilità femminile in uomini con spiriti d'artista e non la distruttiva potenza della carne che violenta qualsiasi preconcetto mentale, fino a sfiancare l'animo, distruggere ogni resistenza e obbligare al rischio della morte pur di non essere più uomo.

Continua a leggere su BadTaste