Venezia 72 - A Bigger Splash, la recensione

Audace, arrogante, ambizioso e rischioso, il nuovo film di Guadagnino non è un capolavoro ma di certo incarna il cinema più auspicabile in assoluto

Critico e giornalista cinematografico


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Luca Guadagnino ad oggi mette in scena in una maniera talmente originale da non essere associabile a nessun altro. Il suo non è uno stile innovativo o dall'impatto devastante, ma di certo è personale, diverso e audace. Quello che sceglie di raccontare con questo stile non sempre è a livello della forma, lo stesso il ritmo impresso dai tagli sempre spiazzanti e mai banali dei suoi film rende anche la materia più sentita un inedito, ribadendo con i fatti come al cinema conta più come si affronta una storia della storia in sè. A bigger splash è un'operetta a quattro in cui una cantante rock famosissima, il suo ragazzo, il suo produttore e la figlia di questo si trovano a Pantelleria d'estate.

Come insegna il cinema classico italiano, mettere quattro abbienti che lavorano nell'industria culturale in uno scenario panico e selvaggio come quello di Pantelleria è occasione per raccontare la difficoltà nel capirsi. Eppure non è questo quel che colpisce di A bigger splash, mai come in questo caso l'intreccio conta meno della sua realizzazione, che invece va nella direzione di un prossimità con i personaggi stupefacente. I quattro che si capiscono e non si capiscono non sono visti da lontano, con la distanza cui il cinema ci ha abituato quando si tratta di figure altere ed intellettuali, ma con la vicinanza meno comoda.

In tutto ciò forse è solo la recitazione ad apparire tradizionale, perchè la maniera in cui questa è supportata dalla colonna sonora (di nuovo dopo Io sono l'amore in certi punti il suo volume sovrasta i dialoghi con un effetto stridente che ricorda il fastidio e il non capirsi della vita reale), dalla fotografia e dal montaggio afferma continuamente non la necessità di nuovi argomenti ma l'esigenza di ripensare il modo in cui li trattiamo.
Per questo, nel finale, l'inserimento dei temi di attualità che più associamo a Pantelleria non suona fuori posto ma forse come l'unica maniera per poterne parlare senza ripetere quello che ormai non ascoltiamo più.

Guadagnino e il suo team (una compagnia che non si può definire come solo "comparto tecnico" ma contribuisce a molti livelli diversi al film) dopo Io sono l'amore cercano ancora nuovi percorsi, nuove strategie che stupiscano e quindi colpiscano con la forza del colpo che ti arriva da dove non te lo aspetti, con l'obiettivo di parlare degli argomenti più noti. Ad animare questo film sono dettagli rapidi, alternati a piani lunghi, un ritmo nel montaggio altalenante che non segue mai le aspettative del pubblico o i canoni del cinema e infine la sua tendenza ad alternare con grande fluidità carrelli o zoom in avanti al loro opposto di stacco in stacco, con una voglia di reinventare il linguaggio comune del cinema che ricorda gli anni '60. Tutto questo non basta a rendere questo dramma a quattro il capolavoro che l'audacia formale sembra desiderare, tuttavia è evidente che è senza dubbio questo il cinema che occorre girare.

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