Venezia 70: The Canyons, la recensione
Atteso prima, stroncatissimo poi il film che mette insieme Schrader, Ellis e Lohan pare più essere stato fatto per dimostrare che era possibile produrre un film in un modo diverso...
Cinema deserti aprono il film, luoghi abbandonati, sale diroccate. Lo aprono e lo riempiono, dividono le giornate e compaiono a separare le scene. Sembrano dei canyon, posti grandi e desertici, polverosi e pieni di cose immobili, proiezioni fantasmatiche dell'assenza nelle vite dei protagonisti (forse dei canyon anch'esse), operatori nel settore del cinema che di fatto non fanno film, non li vanno a vedere e apertamente un po' se ne fregano di tutto ciò. Ma la trama è un'altra, il cinema non c'entra: tradimenti, ruoli invertiti, il sesso come tappabuchi e preambolo alla morte efferata. Insomma una storia di Bret Easton Ellis sul vuoto losangelino.
E' impossibile dire come potrebbe essere The Canyons in una versione più elaborata e complessa (non più ricca), più volitiva e incazzata, più sincera e viscerale. Di certo sarebbe recitato meglio (gli attori non sono pessimi ma in più occasioni sembrano dare il minimo sindacale), sarebbe illuminato con un po' più di cura e magari ricerca e probabilmente conterrebbe molte più scelte audaci in grado di valorizzare quello che (si spera) Bret Easton Ellis aveva messo su carta.