Venezia 75 - Vox Lux, la recensione

Vox Lux, opera seconda di Brady Corbet, turba lo spettatore seguendo l'ascesa, il crollo e la rinascita di una tormentata popstar

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A tre anni dal cupo esordio alla regia con The Childhood of a Leader, presentato sempre in laguna, Brady Corbet torna a turbare gli animi del Festival di Venezia con Vox Lux; con l'opera prima del cineasta e attore, questo secondo esperimento ha in comune non pochi punti, a partire dalla suddivisione in capitoli che definiscono i momenti pivotali dell'evoluzione del personaggio principale.

Al posto del piccolo Prescott, qui abbiamo la pia adolescente Celeste (Raffey Cassidy), studentessa di musica sopravvissuta per miracolo a una sparatoria nella sua scuola. Protetta dalla premurosa sorella maggiore Eleanor (Stacy Martin), la ragazzina torna lentamente alla vita e, grazie a una commovente ballata composta a seguito dell'esperienza, diventa una pop star di fama internazionale.

La ritroviamo, 18 anni dopo la tragedia, con le fattezze di Natalie Portman e una figlia teenager, Albertine (sempre interpretata da Cassidy), alla vigilia del proprio ritorno in scena dopo qualche anno di pausa dovuto a un incidente che ne aveva compromesso la reputazione. Ad assistere Celeste, oltre a una Eleanor continuamente umiliata dai capricci della diva, c'è il manager (Jude Law), con cui la star condivide droga e sesso occasionale.

Come già avvenuto con The Childhood of a Leader, anche Vox Lux mira a destabilizzare lo spettatore attraverso una narrazione ellittica e un impianto visivo tenebroso: la scelta di girare in 35 mm conferisce al film un sapore analogico perfettamente in linea con le origini della protagonista, enfatizzato dall'inserimento di fittizi filmati di backstage accompagnati dalla distaccata voice over di Willem Dafoe.

Nella scia di Prescott, anche Celeste bambina esibisce i sintomi incontrovertibili di quella che sarà la sua gemmazione nell'età adulta: cantando alla messa in onore dei compagni defunti, ella diviene di fatto la voce di un intero paese, sostituendosi - più o meno consapevolmente - a Dio come fulcro degli sguardi della nazione piagata dall'eccidio nella scuola.

È, indubbiamente, un'altra infanzia di un leader, con esiti meno sfacciatamente politici ma non per questo esenti da connotazioni antropologiche: nel dialogo tra Celeste e Albertine nel diner emerge con potenza deflagrante lo scollamento progressivo tra qualità e successo ("Non importa che tu sia Michelangelo o Micky & Angelo di New Brighton"), perfettamente esemplificato dalla messa in ombra del talento di Eleanor in favore della prospettiva, del punto di vista di Celeste.

Poco conta che le canzoni della protagonista siano scritte dalla sorella maggiore, incapace di trovare la propria voce e, quindi, la propria luce: come un moderno Messia, la popstar illumina il palco dopo una sfiancante via crucis in cui barcolla sotto l'effetto di droga e alcol e si offre ai propri fan in un olocausto di gloria e musica (eccelsa la colonna sonora curata da Scott WalkerSia, anche produttrice esecutiva del film assieme a Law e Portman).

Nuova divinità, Celeste ispira anche il gesto estremo di un commando che non manca di citare esplicitamente i suoi esordi; ma l'artista si ribella alla strumentalizzazione da parte dei suoi cruenti accoliti - e potenziali assassini - provocandoli con il paragone tra la loro scarica di proiettili e la sua rapida successione di brani da hit parade, esponendosi potenzialmente a ritorsioni nei suoi confronti nel maestoso concerto che chiude Vox Lux. Nel ventunesimo secolo - il capitolo conclusivo si chiama, appunto, XXI - non c'è spazio che per la venerazione o la crocifissione dei nuovi idoli: le popstar.

Non è un caso che, per la sua rinascita, Celeste sfoggi un costume con al centro una sfavillante croce argentata, che la rende al tempo stesso profetessa di una nuova religione e bersaglio vivente della furia dei suoi oppositori, armati o meno. In quest'ottica, Vox Lux è una delle più interessanti allegorie cristologiche che il recente cinema occidentale abbia proposto al proprio pubblico, nonché un coraggioso manifesto artistico che conferma quanto di buono visto in The Childhood of a Leader facendo di Corbet - anch'egli enfant prodige come Celeste - il nuovo cantore di un millennio che sembra saper decifrare con spietata lucidità.

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