Venezia 75 - Tramonto, la recensione
Budapest nell'800 è una polveriera di attentati e scalate sociale, predatori sessuali e rivoluzionari. In Tramonto, una donna si muove per cercare di capirci qualcosa e noi con lei
Siamo Budapest all’apice dell’impero austro-ungarico, abiti raffinati, cosmopolitismo e tante etnie e lingue diverse che rendono la città una polveriera. Gli attacchi terroristici sono all’ordine del giorno e la protagonista viene da una famiglia decaduta in un misterioso incendio. Lavora in una cappelliera in cui le donne sono in continua competizione e nella quale il capo ha un debole per lei. Frequenta feste altolocate e bassifondi perché è in contatto anche con la rete dei terroristi, non capiamo come o perché ma di mezzo c’è anche un fratello che non trova. La confusione è la cifra del film, è confusa lei e siamo confusi noi, cerca di orientarsi e noi con lei mentre il mondo sembra composto da deviati che pensano solo a sé e parlano sussurrando come nei film di Lynch. Ogni qualvolta qualcuno sta per spiegare qualcosa, il film lo interrompe con un evento che cattura l’attenzione di tutti. Nemes ha un modo tutto suo di affrontare l’arte di rilasciare gradualmente le informazioni riguardo la trama.
Probabilmente Il Figlio di Saul era un film più compatto, più piccolo e più deciso, però la violenza tra donne che si intuisce negli occhi iniettati delle colleghe che capiscono di essere state superate, i continui eventi violenti nello sfondo, la capacità di tirare in ballo tantissimi personaggi tratteggiandoli bene con pochissimi elementi e infine la noncuranza di tutti, mettono in scena un mondo allo sfascio fatto di grandi interni, ambizioni, dell’imperatore in persona che viene in visita e di grande feste. Davvero è difficile non vedere in questo caos e in questo clima imprevedibile di costante rischio l’Europa contemporanea, in cui politicamente tutto può accadere e gli attentati sono una realtà con cui convivere.