Venezia 75 - Peterloo, la recensione

Presentato oggi a Venezia, Peterloo di Mike Leigh è un'acuta riflessione storica che sfrutta il passato per parlare del presente

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Rigoroso nella messinscena ed estremamente sottile nella trattazione dei prodromi della tragedia cui fa riferimento, l'affresco storico di Mike Leigh dedicato al massacro di Peterloo - in corsa per il Leone d'Oro al Festival di Venezia - pullula di personaggi, proprio come l'ampio piazzale di Manchester palco del sanguinoso epilogo; contrariamente a quanto potremmo pensare, non è però nell'ultima mezz'ora - questo lo spazio dedicato alla manifestazione del 16 agosto 1819 - che si concentra tutto il quantitativo d'angoscia di quest'opera monumentale a partire dalla durata.

Più che a ricostruire gli atti di violenza da parte della Guardia Nazionale nei confronti dei manifestanti radunatisi a St. Peter's Field per richiedere una riforma elettorale, il film di Leigh mira a illustrarne le cause sociali, risalendo all'indietro fino alla battaglia di Waterloo - alla base del gioco di parole coniato dai giornalisti all'indomani del massacro a Manchester. Per spiegare al meglio l'asprezza del tempo che si propone di narrare, il cineasta britannico fa confluire nelle due ore e mezza di Peterloo un'umanità varia e complessa: conosciamo così inamidati politicanti votati al soffocamento di qualsiasi afflato ribelle da parte del ceto basso, aspiranti capi popolo di provincia che smaniano dalla voglia di diventare leader conclamati e ammirati, militari riluttanti costretti a mantenere l'ordine con ogni mezzo.

Ne deriva un racconto sfaccettato, improntato a un'analisi lucidissima che svela la stratificazione del film sotto il suo manicheismo di facciata. Il sentimento che prevale di fronte allo scontro tra le due fazioni, sapientemente articolato grazie a una selezione attoriale finissima e una scrittura di sobria durezza, è comunque d'indignazione, ma Leigh sembra volersi tenere lontano dai disastrosi eccessi populisti dei demagoghi che ritrae: significativo come l'egocentrico Henry Hunt di Rory Kinnear, proprietario terriero che si schiera a favore dei deboli, sovrasti con la propria voce stentorea la lettura del Riot Act, divenendo di fatto involontario innesco della violenza che ambiva a scongiurare.

Determinato a essere l'unico oratore della manifestazione, Hunt sembra sopportare a malapena la presenza dei suoi compagni di battaglia, impettiti sul palco poiché, sebbene animati di buone intenzioni, il potere tenta con aura irresistibile coloro che non l'hanno mai sfiorato. Qualcuno potrebbe definire Peterloo un film verboso, dove le frasi si ripetono in contesti diversi (tanto i magistrati quanto i capi del popolo invocano un diluvio purificatore che annienti l'altra parte); ma non è forse questa l'essenza della politica, magnificamente esemplificata nella sequenza dell'assemblea del Sindacato Femminile che contrappone l'impalpabilità degli ideali alla concreta accessibilità dei problemi contingenti?

Più delle baionette che lasceranno sul campo di battaglia - brillantemente accostato a quello di Waterloo - ben quindici morti, sono infatti le parole a rappresentare l'arma più insidiosa in Peterloo: nelle due ore di film che precedono lo scontro armato, i confronti interni alle due opposte fazioni sono puro materiale incendiario, ogni frase è ossigeno pronto ad alimentare una fiamma che è accesa già da tempo immemore. Frattanto, al di fuori di Manchester, Leigh non manca di mostrare gli stralci di una campagna incontaminata, in cui si svolgono idilliaci concertini campestri: di lì a poco, sembra dirci il regista, l'industrializzazione distruggerà anche questi ultimi bucolici frammenti di purezza.

Alla luce di questa ricchezza di contenuti, appare evidente sopra ogni cosa come Leigh sfrutti Peterloo per parlare, attraverso uno scorcio del passato, di problemi del presente: a duecento anni dalla tragedia di Manchester, le forme di disuguaglianza sociale sono certamente mutate, ma oggi come allora il mondo guarda a certi diritti come a concessioni ancora lontane dall'essere ottenute. A dispetto dell'orrore del suo epilogo, il dramma del regista britannico ha in sé un germe di speranza innegabile, nonché il coraggio di mostrare con sguardo libero da ogni giudizio la battaglia (allora) fallimentare di una parte d'umanità troppo spesso costretta al silenzio. Una grande lezione di storia, una grande lezione di cinema.

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