Venezia 75 - L'Altra Faccia del Vento, la recensione

L'ultimo film di Orson Welles è un found footage ante litteram ma per il resto L’Altra Faccia del Vento sembra una summa degli stilemi wellesiani

Critico e giornalista cinematografico


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L’ultimo film mai realizzato da Orson Welles è ora stato finito da Peter Bogdanovich che vi aveva anche partecipato come attore. L’Altra Faccia del Vento, ora, è in tutto e per tutto un film wellesiano, forse anche troppo. Contiene così tanti luoghi comuni della carriera del regista da dare l’impressione che chi ne ha completato il montaggio l’abbia fatto all’insegna dello stile Welles, proprio per farlo somigliare ai film di Welles.

Già dalla trama è evidente che ci troviamo nei suoi territori. C’è una figura austera, potente, famosa e gigante, un regista (interpretato dal vero regista John Huston) che sta montando un film chiamato per l’appunto L’Altra Faccia del Vento mentre intorno a lui diverse persone si agitano, cercano di capirlo, lo criticano e parlano di lui. C’è insomma una persona eccezionale ricostruita da altri, compresa a partire dalla percezione che dà di sé, come Charles Foster Kane o mr. Arkadin e tante altre figure wellesiane. E c’è ovviamente il cinema.

La sorpresa è che questo ultimo film era fin dall’inizio un found footage ante litteram, cioè un film le cui immagini sono riprese dai personaggi stessi del film (critici, giornalisti, studenti di cinema ecc. ecc. che orbitano attorno al potente regista come la folla di collaboratori, fan e paparazzi orbita intorno al protagonista di 8 E Mezzo), un tripudio di formati diversi dal classico 35mm al Super8. E poi ovviamente c’è il film nel film che gli dà il titolo, una specie di erotic thriller sporcaccione (fotografato come un film di Russ Meyer ma senza le tettone) la cui protagonista è Oja Kodar, all’epoca in una relazione con Welles.

La sorpresa non esaltante invece è che di questo potente regista alla fine non c’è molto da scoprire e il film sembra convinto del contrario. Più divertenti sono semmai gli attacchi ad Hollywood di questo, più interessante è la maniera in cui Welles (o Bogdanovich) fa dialogare immagini di qualità formati e tipologia diversa tra di loro. La grana e la pulizia, il colore pulitissimo e invece la saturazione da reportage. Nonostante la consueta austerità sembra qui che Welles si volesse divertire un po’ più del solito e flirtare con alcuni momenti quasi da commedia.

Certo nel regista protagonista non è difficile vederci Welles stesso (come sempre del resto), vecchio cineasta che fatica a finire un film tra mille persone che cercano di conoscerlo e vogliono un pezzo di lui, tra produttori, amici che in realtà non lo sono così tanto. E alla fine L’Altra Faccia del Vento non solo non appare proprio come la punta più alta o più raffinata del cinema di Welles ma conferma che F come Falso (il film che fino a ieri era il suo ultimo) è decisamente un testamento più in linea con la sua grandezza e voglia di spiazzare con ogni progetto.

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