Venezia 75 - La Favorita, la recensione
La Favorita di Yorgos Lanthimos è uno spassoso, feroce e malinconico caleidoscopio sorretto da un terzetto d'attrici in stato di grazia
La Favorita apre il proprio sipario sulla vestizione della regina Anna, interpretata da Colman, sotto lo sguardo attento della favorita Sarah, cui Weisz dà il volto. Mattone storico, potremmo pensare, ma bastano poche battute alla sceneggiatura di Deborah Davis e Tony McNamara per soffiare sulla polvere dei secoli e restituire freschezza a una trama articolata attorno a un nodo epocale - la guerra tra Regno Unito e Francia - tramutandola in un triangolo amoroso di rara godibilità.
Lanthimos ha sempre ribadito come tutti i suoi film siano, a dispetto dei toni spesso tragici, delle commedie; nel caso della sua ultima, calligrafica opera, la precisazione andrebbe ribaltata: l'ironia dissacrante dello script nasconde, appena sotto la superficie, una stratificazione emozionale che affonda le proprie radici nel dramma straziante dello squilibrio mentale, della gelosia feroce e della brama di potere. Un potere che, mai come in questo caso, logora chi non ce l'ha senza però garantire soddisfazione a chi l'abbia conquistato.
Spesso, nel corso degli anni, a Venezia si sono susseguiti presunti grandi affreschi femminili, con tutto ciò che l'ottusa compartimentazione per generi reca con sé: questa volta siamo di fronte, caso più unico che raro, a una vera celebrazione della femminilità nella sua bellezza come nella sua bruttura, emancipatasi del tutto dalla gabbia della complementarità rispetto all'uomo.
Anna, Sarah e Abigail non hanno bisogno di uomini, se non come mero strumento - storicamente imposto - per raggiungere i propri scopi. Mentre i maschi vanno in guerra, le donne restano a corte e sparano, causticamente contrapposte a un corollario di ministri, lacché e politicanti più imbellettati di qualsiasi dama. Le stanze del potere diventano quindi un campo di battaglia che lascia a terra feriti - letterali e non - senza far trionfare davvero nessuno: il corpo piagato di Anna diviene involucro trasparente delle sue sofferenze interiori, del vuoto lasciato da troppi figli defunti e da un'insaziabile fame d'amore.
Allo stesso modo anche Abigail e Sarah subiscono traumi fisici e sfoggiano cicatrici che, come asserisce la seconda, sarebbero affascinanti se poste sulla pelle di un uomo; Lanthimos sembra sposare questo punto di vista, demolendo il cliché di una femminilità artefatta - le donne non indossano parrucche, al contrario degli uomini - ed esaltando la vitalità di una crepa su un muro dipinto, di un graffio su un volto struccato.
Tuttavia, al di sopra di ogni ragionata riflessione sui significati della curata messinscena, Lanthimos costruisce un'improbabile, magnifica storia d'amore che commuove senza banalità tra una risata e l'altra, spostando l'ago delle simpatie del pubblico da un opposto all'altro nel corso del film; non c'è affettazione melensa nelle sporadiche, inaspettate effusioni cui assistiamo, ma la dirompente carnalità di un corpo - quello di Anna - affamato di piaceri tangibili nel tentativo affannoso di sanare le proprie pene interiori.
Spassosa commedia, sarcastica riflessione sull'ambizione e malinconico dramma amoroso, La Favorita punta evidentemente agli Oscar senza però cedere ai compromessi che tale ambizione porta con sé; bello e terribile come le sue agguerrite eroine, si chiude su note amare e inquietanti che lasciano lo spettatore sospeso a metà tra sogno e incubo, vittoria e sconfitta. Così è la vita, così è il potere, così è l'amore.