Venezia 75 - Killing, la recensione
Storia di samurai che ribalta gli assunti base del genere, Killing è un film 100% Tsukamoto in cui il metallo è il terrore della carne e il protagonista è massacrato da ossessioni di violenza e impotenza
In quella spada che vibra e trema assieme all’inquadratura nell’inizio di Killing c’è tutto il dissidio tra quel metallo tagliente e duro e la materia molle costituita dal protagonista, samurai che non ha mai ucciso e ha timore di farlo, che trema nel tenere quello strumento di morte, che è visibilmente terrorizzato e somatizza quel terrore in un’impotenza sessuale che lo massacra. Servirà a poco impostare le basi del racconto con grande calma e controllo (che bravo!), con una quiete quasi irreale, perché lo stordimento che il metallo letale porta nella vita, nella testa e nelle viscere è dietro l’angolo.
Sempre funzionale al suo obiettivo, cioè rappresentare la tragedia carnale che è vivere un dissidio interiore, avere paura, non essere all’altezza dei propri desideri, stavolta Tsukamoto ha dei momenti anche di dolcezza, degli idilli ovviamente molto sessuali, provocanti ed eccitanti eppure così teneri che aumentano la tensione del samurai verso la propria impotenza omicida. Arriverà un altro samurai più esperto e potente (lo stesso Tsukamoto) a sbloccare la situazione, proponendogli di unirsi a lui in una crociata per lo Shogun. Stavolta dovrà uccidere e il solo pensiero lo fa crollare a terra dalla febbre improvvisa.
Viene da urlare alla visione di questo film attraversato da una scarica elettrica ogni qualvolta ci si avvicina all’atto di uccidere, in cui il protagonista fa di tutto, si fa amico i nemici pur di non ammazzare ma che sarà ad un certo punto costretto a farlo per sopravvivere. Tsukamoto è l’unico regista che invece di usare i sentimenti per dare senso a una storia, usa una storia per poter rappresentare l’urlo interiore di un essere umano in difficoltà, lo sgomento profondo di fronte al confronto tra l’acciaio e la carne, il terrore del confronto impari tra la potenza distruttiva del primo e la fragilità mortale della seconda.