Venezia 75 - Il Primo Uomo, la recensione
Convenzionale, poco ispirato e originale solo nelle idee, ma di certo non nell'attuazione, Il Primo Uomo è un film che invece di ispirarsi copia
Nella storia di Neil Armstrong vista dai suoi occhi c’è tutto il suo mondo: la ricerca dell’eccellenza e l’ambizione di emergere nel proprio lavoro tramite una dedizione straordinaria che lascia svuotati, soli e sacrifica la vita privata.
Corretto come non è mai stato, Chazelle gira un film classico attualizzato all’epoca di Terrence Malick (incalcolabile l’influenza che ha avuto The Tree Of Life) e debitore più che altro a Uomini Veri di Philip Kaufman (già ispirazione di Interstellar), film del quale questo sembra il sequel non all’altezza dell’originale.
Eppure la sceneggiatura sembra ben concepita per come mira a raccontare le difficoltà di Armstrong a emergere e le difficoltà della NASA nel mandare l’uomo sulla Luna, al pari di uno sport che richiede determinazione, dedizione e concentrazione (del resto in Whiplash pure la musica sembrava una disciplina agonistica). Non vediamo mai i benefici che la conquista della Luna può portare, non c’è l’eccitazione di esplorare qualcosa di nuovo e incontaminato, la corsa allo spazio è un dovere per il quale i protagonisti si sacrificano. Tutto è sofferenza nel mondo di Chazelle, soprattutto l’eccellenza. E anche l’impresa più storica del ‘900 è quasi un atto anticonformista e controcorrente per quanto è osteggiata dall’opinione pubblica. Qualcosa da ribelli e sognatori.
Con un impianto e un taglio così nobili viene da chiedersi dove sia finito il mago di La La Land, quello capace di trasformare la sua visione in film con quella che si presentava come un’apparente facilità. Le parti migliori, come la terribile precarietà della strumentazione e la complicata componente umana nel manovrare oggetti complessi come i moduli lunari, vengono (come già detto) o da Uomini Veri o da Interstellar, da cui il film mutua la sequenza più eccitata e musicata, quella in cui la forza cinetica di un modulo rotante sembra impedire ai personaggi di compiere l’azione che li manterrà in vita.
In tutto questo scompare Ryan Gosling, che con il suo stile minimale aveva bisogno di un altro film (o di cambiare stile per tenere in piedi questo) ed emerge il resto del cast, più in parte, più dinamico e più potente, a partire da Claire Foy. Lei almeno sa benissimo declinare un’unica sensazione (è preoccupata e triste per tutto il film) in mille espressioni e variazioni, non è mai maschera dell’ansia ma persona completa e ogni volta ha ragioni e spinte diverse per sentirsi come si sente.