Venezia 75 - Frères Ennemis, la recensione
Nel mondo più duro possibile Frères Ennemis nasconde dietro le pistole e cazzotti un cuore gigante
Tre amici sono divisi dalla legge. Uno è stato fatto fuori per un affare di droga, l’altro era con lui, è sopravvissuto ed è cercato sia da polizia che dai criminali che non sono riusciti a farlo fuori la prima volta, il terzo è un poliziotto che non a caso indaga questa storia e vuole salvare l’amico da tutti senza farsi scoprire. Storia di sopravvivenza metropolitana nella periferia dei palazzoni difficilissima da recitare, in cui il mood è uno solo (duro, arrabbiato, disperato) e va declinato di continuo una volta per i dialoghi con i bambini, poi per le minacce ai boss, i confronti con la polizia o ancora gli sguardi distrutti di dolore. Si tratta di un’impresa che Reda Kateb e Matthias Schoenaerts conducono in porto con una sicurezza che fa sembrare tutto facile e scorrevole.
Ci saranno paternità commoventi, fratellanze anche non di sangue, senso d’appartenenza, etica personale, onore, rispetto reciproco e ambizione di sopraffazione a scontrarsi senza trovare nessuna sintesi ma solo delusioni (il genere del resto quello è, se le principesse inseguono un matrimonio e la felicità, i piccoli criminali fuggono la morte e la perdita di tutto). E alla fine il pregio vero di questo melodramma mascherato così bene che non si riconosce più dietro tutte quelle pistole, è di non menzionare un contesto che sembra condizionare le vite di tutti, uno in cui diventare un poliziotto è addirittura una scelta ribelle che fa guadagnare il disprezzo della famiglia e gli insulti degli amici ma in cui sembra che i sentimenti siano più autentici che altrove.