Venezia 75 - Double Vies, la recensione
Con Double Vies, Olivier Assayas torna ad affrontare tematiche a lui care inserendovi un'acuta riflessione sulla digitalizzazione della cultura
In uno scenario cinematografico globale che tende con sempre minor timore a sfumare le linee di demarcazione tra i generi filmici, un'opera come quella presentata di Assayas potrebbe essere ascritta alla categoria - incredibilmente ben definita - dei film francesi, laddove l'aggettivo non si limita a indicarne la provenienza geografica ma soprattutto l'approccio narrativo.
Double Vies trasuda parole come il mondo che racconta, e lo fa con una sagacia sottile e (auto)ironica che svela al pubblico quella che è la riflessione di Assayas stesso su un mondo che cambia sotto i suoi occhi scettici e scherzosamente rassegnati: dinnanzi ai protagonisti Alain (Guillaume Canet), Selena (Juliette Binoche), Valerie (Nora Hamzawi) e Leonard (Vincent Macaigne) si susseguono cellulari, iPad, eBook e, infine, gli obsoleti libri cartacei contro cui la consulente tecnofila Laure (Christa Theret) punta il dito, profetizzandone la prossima caduta nell'oblio in favore di un ventaglio infinito di dispositivi digitali.Il punto di vista di Assayas sulle nuove tecnologie destinate a soppiantare supporti che hanno attraversato i secoli emerge con chiarezza nel corso di Double Vies, senza per questo essere scevro da una buona dose di lucida autocritica: davanti alle nuove leggi del web, il romanziere Leonard resta spesso spaesato mentre Alain si limita a una prudente circospezione velata di nostalgico tradizionalismo.
Allo stesso modo, anche l'attrice Selena sembra costretta a muoversi verso il frenetico - e digitale - orizzonte delle fiction tv poliziesche, lontano dall'aristocratico autocompiacimento del palco teatrale; l'unica eccezione a quest'aura di snobismo che sembra avvolgere i protagonisti è Valerie, tramite ideale tra vecchio e nuovo e, di conseguenza, personaggio più acuto del film, nonché cuore del ritorno al reale, al concreto, al tradizionale con cui si chiude il film.Double Vies diverte con dialoghi carichi di un umorismo raffinato e passaggi di scena mirabilmente orchestrati, spesso veicolati da quegli stessi dispositivi - smartphone su tutti - che ricoprono il ruolo di villain in ambito lavorativo e, al contempo, complici delle avventure galeotte di Alain e Leonard; oggetti asettici, contenitori di una cultura digitalizzata che ispira sdegno nei due uomini ma che consente loro di portare avanti una doppia vita di menzogne.
Non è solo a questo che fa riferimento il titolo del film: nelle opere di Leonard, lo scrittore trasferisce il proprio vissuto quasi senza filtri, consentendo a chiunque nella propria cerchia di conoscenze di riconoscersi negli aneddoti raccontati tra le pagine della sua centellinata autobiografia romanzata. Tutto è finzione e, paradossalmente, tutto è verità nei libri che l'uomo pubblica non senza difficoltà, ignaro delle polemiche del web e della gogna digitale che sta rischiando.
Se in Sils Maria il rapporto tra realtà e messinscena si faceva dramma a tratti inquietante, qui Assayas fa germogliare il tema in una fioritura spassosa e brillante, concedendosi nell'ultima sequenza di squarciare il velo della quarta parete con un'incursione nel meta-cinema che, lungi dall'alienare, strappa un'ennesima soddisfatta risata. È, quello di Double Vies, il miglior cinema francese - inteso come genere, non come nazionalità - in cui si possa sperare di imbattersi.