Venezia 75 - Acusada, la recensione
Colpevole o innocente la vita di Dolores è già allo sfascio. Acusada svicola il legal thriller e mira a raccontare le persone ma non ci riesce davvero
Ad Acusada non importa molto se Dolores l’abbia fatto o meno, importa che lei e tutti intorno a lei si sentono in colpa a prescindere, che questa causa costosissima sta distruggendo una famiglia, che i media si cibano di loro e che psicologicamente ne stanno uscendo letteralmente devastati. Per arrivare a questo e per tenere così tanto il cuore del film sui personaggi più che sui fatti serve necessariamente una serie di ottime interpretazioni, perché è a partire da quelle che comprendiamo la complessità delle reazioni. Purtroppo protagonista è Lali Espòsito, monocorde, monoespressione e non in grado di sostenere un simile ruolo (il confronto con gli attori che fanno i suoi familiari è impietoso).
C’è moltissima enfasi sulla suspense come fosse cinema di genere puro, eppure non lo è perché non la costruisce realmente (talmente è la enfasi e talmente è rimandata in avanti la verità che ad un certo punto comincia a non interessare più), preferisce invece crogiolarsi nell’ammirazione dello sfascio familiare. Il procedimento legale è faticosissimo, resistere è faticosissimo, tenere unito il nucleo è faticosissimo. E alla fine Acusada perde un po’ di vista il punto affidandosi al metaforone finale con il puma quando è troppo tardi.