Venezia 75 - 22 Luglio, la recensione

Con poca azione e molta attenzione a quel che è accaduto dopo la strage, 22 Luglio manca di un arco narrativo interessante nella sua seconda parte

Critico e giornalista cinematografico


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Ci sono solo 40 minuti di vera azione, dallo scoppio della bomba fino all’isola di Utoya, in questo film sulla strage avvenuta in Norvegia per l’appunto sull’isola di Utoya, 40 minuti che esauriscono i fatti come li abbiamo visti e conosciuti dalle notizie. Era facile immaginare che Greengrass nel suo raccontare la storia di quell’attacco avrebbe realizzato un film d’azione come suo solito, come era United 93, ma in realtà questo 22 Luglio è molto diverso, è un film sul processo democratico con il quale uno stato intero cerca di non venire meno ai propri principi a fronte di un evento come questo.

C’è un tale rispetto e una tale enfasi nel non spettacolarizzare la tragedia che sono in sé una lezione di cinema, come raccontare qualcosa in teoria appassionante (per quanto tragico l’attacco ha rispettato tutti i canoni del cinema ed è un fatto perfetto per un film d’azione o di tensione), senza sfruttarlo per il proprio tornaconto e comunque creando qualcosa di bello da vedere e interessante da seguire. Il tocco Greengrass diventa lieve e fa un passo indietro proprio là dove poteva indugiare. Cinematograficamente ammirabile eppure forse controproducente.

Perché finita l’azione il resto del film racconta il processo, racconta uno dei sopravvissuti nella sua lotta non solo per non morire ma poi per tornare in piedi in tempo per testimoniare (e affrontare la persona che stava per ucciderlo dal vivo) e racconta la battaglia delle idee per far fronte a quel che quest’estremista rappresenta, cioè l’intolleranza antidemocratica che avanza in Europa. Il film è così preciso nel rimettere tutto in scena che nonostante sia internazionale e recitato in inglese tutti gli attori sono norvegesi (il che porta al fatto che tutti parlino con l'accento norvegese, cosa abbastanza straniante).

Purtroppo però l’intreccio della seconda parte funziona pochissimo, cioè l’arco narrativo del ragazzo che deve rimettersi in piedi per arrivare al processo e la tensione riguardo a cosa farà al processo l’imputato (che pianifica con il suo avvocato di leggere una sua dichiarazione) sono deboli. Moralmente di ferro, Greengrass ha fatto tutto nella maniera più giusta e corretta e il suo rispetto per vittime e situazioni è encomiabile. Come è limpida la voglia di raccontare qualcosa di più complicato del solito, cioè l’esigenza di far fronte a simili minacce senza scendere nel loro territorio ma rimanendo sul terreno delle leggi della democrazia. Tuttavia il film progressivamente viene sempre meno, si affievolisce e lentamente si spegne molto prima del finale per assenza di mordente ed eccesso di tirate.

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