Venezia 74 - Undir Trénu, la recensione
Presentato al Festival di Venezia nella sezione Orizzonti, l'islandese Undir Trénu raffigura con cupa ironia i rapporti di vicinato tra due famiglie
Carezzati con distaccata indifferenza dai raggi di un sole tiepido, due nuclei familiari esemplificano con grottesca meschinità una parabola di pessimo vicinato, in un'escalation drammatica inframezzata da irresistibili sprazzi di umorismo nero. Al centro della disputa iniziale, l'albero che svetta nel giardino degli anziani Baldvin (Sigurður Sigurjónsson) e Inga (Edda Björgvinsdóttir), colpevole di far ombra al vicino cortile di Konrad (Þorsteinn Bachmann) e dell'avvenente moglie Eybjorg (Selma Björnsdóttir), assetata d'abbronzatura. La sequela di angherie tra le due coppie s'intreccia al dramma coniugale di Atli (Steinþór Hróar Steinþórsson), figlio di Baldvin e Inga, in crisi con la moglie Agnes (Lára Jóhanna Jónsdóttir) e impossibilitato a vedere la figlia Asa.
Solo la natura, flora o fauna che sia, resta incolpevole nel quadro intriso di becera brama vendicativa dipinto in Undir Trénu: l'uomo e la donna di Sigurðsson sono visceralmente portati alla distruzione, che si tratti di rapporti umani, di beni materiali o, peggio, delle proprie stesse vite. E il pubblico, solleticato dalla mano del regista, gode di queste disgrazie, esonerate dal peso di qualsivoglia tentazione moralista e mirabilmente sostenute da performance attoriali asciutte e coinvolgenti.