Venezia 74 - Lean On Pete, la recensione
Con un desiderio fortissimo di mettere in scena i sentimenti ma una scarsa capacità di rappresentarli, Lean On Pete promette e non mantiene mai
Quella dei due è una storia d’amore, almeno ne ha i contorni. Lui è rimasto solo al mondo e si sente ancora più solo per indole, incompreso, abbandonato negli affetti che nessuno capisce. Il cavallo è un mezzo brocco che però ogni tanto vince, e come capita a quelli così, al primo problema fisico è sbolognato. Due solitudini che si incontrano ma già qui il film di Haigh, che già con 45 Years e Weekend ha dimostrato di essere più innamorato dei sentimenti che di saperli raccontare, desidera e non raggiunge. Il cavallo in realtà lo vediamo molto poco (per il peso che ha) e ogni svolta che lo riguarda ci colpisce relativamente, poiché il film non crea mai vero coinvolgimento.
Di tutta la grande mestizia e solitudine, della sete d’amore e dei sentimenti di vergogna e speranza che Haigh mette sul tavolo, Lean On Pete non riesce a fare mai davvero buon uso. Vorremmo seguire il protagonista mentre si muove nelle notti e ruba benzina, mentre viene assaltato e cura il suo cavallo, ma vediamo solo una persona che non conosciamo mai bene e non invece una parte di noi stessi rappresentata ed ingrandita, un istinto comune a tutti con cui identificarsi.