Venezia 74 - Le nostre anime di notte, la recensione

Le nostre anime di notte, retto dai giganteschi Redford e Fonda, aggira ogni rischio e rinuncia a stupire, preferendo tinte tenui fin troppo rassicuranti

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Nel 2014, stroncato da una malattia polmonare, passava a miglior vita lo scrittore statunitense Kent Haruf, pochi mesi dopo aver completato il suo ultimo romanzo Our souls at night (Le nostre anime di notte), pubblicato postumo l'anno seguente. Il libro ha trovato ora trasposizione sul grande e piccolo schermo grazie a Netflix, che ha così inaugurato la propria presenza al Festival di Venezia dopo l'ostentato snobismo da parte di Cannes.

L'adattamento della storia d'amore anagraficamente autunnale del romanzo di Haruf è affidato alla regia dell'indiano Ritesh Batra, che confeziona un titolo esemplificatore, dalla prima all'ultima scena, di pregi e difetti distintivi dei prodotti filmici targati Netflix. Se la chimica tra i formidabili Jane FondaRobert Redford - che, esattamente 50 anni fa, all'apice di gloria e fulgore, condivisero lo schermo in A piedi nudi nel parco - garantisce al film un terreno emozionale fertile in ogni dialogo o scambio di sguardi, il risultato finale si discosta di rado dal livello di un compitino ben eseguito ma privo di guizzi artistici.

Il percorso psicologico dei due protagonisti si snoda senza scossoni o vere e proprie crisi, il che non costituirebbe di per sé un male né un bene: ciò che appiattisce senza possibilità di riscatto Our souls at night risiede, piuttosto, nella svogliata gincana che fa schivare al film qualsiasi tipo di rischio. Dalla scrittura dialogica alla scelta degli attori, dalla fotografia alla colonna sonora, tutto culla lo spettatore senza mai sorprenderlo, rifiutandosi categoricamente di osare deviazioni rispetto al sentiero del dramma per famiglie più confortevole e patinato.

Con una storia del genere e interpreti di tal fatta, è legittimo pretendere di più: il racconto delle due solitudini di Addie e Louis passa attraverso troppe parole e pochi gesti, benché Redford e Fonda dimostrino senza soluzione di continuità di poter comunicare anche - e soprattutto - nei propri silenzi. Manca, inoltre, il coraggio di dipingere senza pudore da educande la pur palpabile attrazione fisica tra i due, accennata - ancora una volta - nei dialoghi e tuttavia mai affrontata con l'onestà narrativa che l'argomento meriterebbe.

È innegabile la buona intenzione di un film che, sulla carta, contrappone la fallacità dei rapporti amorosi dei giovani (come dimostrano le relazioni dei figli dei protagonisti, interpretati da Judy GreerMatthias Schoenaerts) all'insperata alchimia conquistata dagli anziani. La paura di esporsi degenera così in necessità di esporre, a scapito dell'intensità: a conti fatti, Le nostre anime di notte resta un film piacevole come gli ingredienti che lo costituiscono, figlio riuscito di un'estetica rassicurante che mira ad accontentare tutti ma che, per questo, ricusa la potenza imperfetta e perturbante del sangue per adagiarsi sul soffice prato della tenerezza più dimenticabile.

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